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(Atropa belladonna L.), della famiglia delle Solanacee

 

È una pianta erbacea, perenne, che può raggiungere il metro e mezzo d'altezza. Il grosso fusto, eretto e ramificato, porta grandi foglie ovate di colore verde scuro. I fiori, singoli, sbocciano da giugno ad agosto. Si presentano con corolle campanulate, composte da 5 petali, in genere di colore bruno violetto, raramente giallo. Il frutto, una bacca nera, rimane in parte coperto da un calice a forma di stella. Contiene piccoli semi reniformi di colore bruno pallido. Per giusta conoscenza, ricordiamo che talora le bacche di questa pianta sono di colore giallo.

 

Tutta la pianta è estremamente velenosa, dalle foglie che contengono atropina e iosciamina, alle radici, ricche di scopolamina, ai fiori, alle bacche, agli steli. Contrariamente a quanto annotiamo per altre piante, l’essiccazione delle parti aeree ne aumenta la tossicità con la trasformazione della iosciamina in atropina. Lo ripetiamo ancora una volta: poniamo grande attenzione quando ci accingiamo a raccogliere i frutti del sottobosco; 3-4 bacche di belladonna possono essere mortali anche per un adulto. I sintomi dell'avvelenamento da belladonna sono: secchezza della gola, dilatazione della pupilla, sino alla cecità, eccitazione seguita da torpore con difficoltà respiratoria e stato d'incoscienza.

 

Si tratta di una pianta invero poco conosciuta in passato, tanto che né Plinio né altri autori antichi la nominano, pur trattando diffusamente nelle loro opere delle piante velenose. I primi dati documentari sulla belladonna risalgono al 1500.
Altresì, si sa di usi privi di misura da parte degli erboristi del passato sia di belladonna, sia di altre essenze particolarmente tossiche, al punto che venne sentita l’esigenza di disciplinare maggiormente l’utilizzo delle specie venefiche, cioè dei così detti semplici velenosi.
Il nome belladonna pare derivi dall’uso cosmetico che ne facevano le dame del passato: l’acqua distillata di belladonna veniva utilizzata per rendere più ammaliante lo sguardo, con la dilatazione della pupilla. Oggi, gli oculisti utilizzano le gocce di atropina, alcaloide ricavato da questa pianta, per dilatare la pupilla e procedere ad un esame più approfondito dell’occhio. Il nome generico Atropa deriva dalla mitologia, la Parca Atropa, colei che recideva la vita, e questo a sottolineare adeguatamente l’estrema pericolosità della pianta: poche bacche uccidono un bambino, ma possono essere mortali anche per un adulto.
Nel linguaggio dei fiori, la belladonna indica il silenzio, e anche in questo caso è evidente il richiamo alla morte. Viene anche considerata foriera di sciagure, infatti reciderla senza estirparla completamente potrebbe essere di cattivo augurio per la casa ove è nata. D’altro canto mettere a dimora due piante di belladonna all’ingresso del giardino, ai lati del viale che conduce all’abitazione, allontana gli spiriti maligni e quindi salvaguarda l’intera famiglia che vi risiede.
Il grande poeta Eugenio Montale richiama la belladonna con questi versi “Passò sul tremulo vetro / un riso di belladonna fiorita ...
Le bacche possono essere confuse, dai non intenditori, con le drupe del mirtillo. La confusione viene aumentata dal sapore dolciastro che certamente non contribuisce a considerarla una specie pericolosissima, quale è nella realtà. Questo elemento è poi, almeno in parte, in contrasto con una credenza del passato (che si può far derivare anche da osservazioni di Linneo) secondo la quale ad un sapore e ad un odore gradevoli corrisponde un’erba buona, mentre una pianta nauseabonda è quasi certamente velenosa. Infatti, è giusto precisare che la belladonna emana un odore certamente poco invitante, specie quando se ne strofinino le foglie. In ogni caso, lo stesso Linneo conclude la sua opera con questo aforisma che ci deve far riflettere adeguatamente: “Nella scienza naturale le affermazioni che si propongono debbono essere confermate dalle osservazioni”. Terminiamo con una curiosità: la dorifora, insetto che infesta le coltivazioni di patate, vive e si riproduce anche sulla belladonna, cibandosene, senza subire danni da tale “banchetto”.