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(Aconitum sp. L.), della famiglia delle Ranuncolacee

 

Tra gli aconiti più conosciuti ricordiamo l'aconito vulparia o lupaja (Aconitum vulparia Reichemb.) e l’aconito napello (Aconitum napellus L.) della famiglia delle Ranuncolacee.

La lupaja, presente nei pascoli e nei boschi delle Alpi e degli Appennini, è alta da 50 a 120 cm con infiorescenza diradata spesso ramosa, pubescente e villosa, come sono, quasi sempre, anche i fiori. Questi presentano una particolare forma di elmo molto allungato, stretto e alto, e sono zigomorfi, hanno, cioè, un unico piano di simmetria verticale, di colore giallo pallido. Le foglie sono divise in 5-7 lobi trifidi, piuttosto larghi. La lupaja fiorisce da giugno a luglio.

L'aconito napello, tipico dell'ambiente alpino, pascolivo e boschivo, è alto fino a 150 cm circa, con ricche e colorate infiorescenze a racemo. Ha fusti eretti, semplici o poco ramificati. I fiori presentano la tipica forma di elmo, tanto lungo che largo. La colorazione ha sfumature di colore azzurro-violaceo intenso. Le foglie sono numerose, alterne, picciolate, con i piccioli che divengono sempre più corti man mano che si risale lungo il fusto. Hanno un bel colore verde intenso, forma palmata, partita, con divisioni sottili, fino a laciniate, ed apice appuntito. La pagina inferiore è di colore verde chiaro. Il frutto, solitamente composto da 3 follicoli lunghi circa 2 cm, contiene dei semi di colore nero, lucidi, di forma circa tetraedrica. Caratteristiche sono le radici tuberizzate. Al termine del periodo vegetativo il vecchio tubero muore e resta il giovane, che nella primavera successiva darà origine ad una nuova pianta. L’aconito napello fiorisce in estate. La varietà japonicum (coltivata) fiorisce fino ad inverno inoltrato.
Nelle nostre zone l’abbiamo rilevata in forma coltivata, certamente per la bellezza delle corolle e la ricca fioritura.

 

Si tratta della specie più tossica presente nella flora italiana, cresce spontanea nei boschi, sui pascoli e prati montani alpini. Secondo quanto si legge in “Nuovo Erbario Figurato” , “… Questa pianta è fortemente velenosa in condizioni naturali, ma perde in coltura una parte della sua attività…
I principi venefici di questa pianta, in particolare alcaloidi tossici, tra cui l’aconitina, sono concentrati soprattutto nella radice carnosa, simile a quella del rafano; sono, tuttavia, presenti anche nelle parti aeree. La radice è molto profonda e questo ne riduce considerevolmente la possibilità di un utilizzo accidentale. In passato, tuttavia, pare vi siano stati casi di avvelenamento per averla mangiata al posto di altri tuberi commestibili, come, il rafano o la rapa. Il bestiame tende naturalmente ad evitarla, anche se sono noti casi di avvelenamento per ingestione di foraggio contenente aconito. Contrariamente a quanto avviene per la maggior parte delle ranuncolacee, la velenosità del napello, pur diminuendo un poco, non si annulla con l’essiccazione. L’aconitina è uno dei veleni più potenti attualmente conosciuti, pericolosa anche per contatto (ovvero per assorbimento tramite l’epidermide); viene estratta dalla radice ma anche dalle foglie.

 

Si narra che il napello sia stata una delle piante preferite dagli antichi per avvelenare le frecce o comunque per uccidere i nemici. Plinio la cita come il veleno ad azione più rapida, ma la ritiene anche un potente antidoto per molti altri tipi di sostanze tossiche come ad esempio il veleno degli scorpioni. In pratica, secondo Plinio, il napello o uccide avvelenando o incontra nell’organismo un altro veleno e combattendolo, annienta anche se stesso.
E’ da sempre considerata simbolo di malefici ed uno degli ingredienti preferiti delle pozioni di maghe e fattucchiere. La mitologia la vuole nata dalla bava di Cerbero, quando questo vide la luce del sole, nella dodicesima fatica di Ercole. In particolare nelle “Metamorfosi” di Ovidio leggiamo: “ … il mostro riempì il cielo di un triplice latrato, cospargendo l’erba dei campi di bava bianchiccia. E si pensa che questa, coagulandosi, trovasse alimento nella fertilità del suolo e divenisse un’erba velenosa, che nasce rigogliosa in mezzo alle rocce, ed è chiamata per questo aconito dai contadini …
La mitologia nord europea considera il fiore dell’aconito simbolo dei cavalieri erranti, con il potere di rendere invisibili. In questo caso è evidente che la suggestione nasce dalla particolare forma di elmo posseduta dal fiore. Nei paesi nordici, infatti, l’aconito napello è conosciuto anche con il nome di cappello di Thor o di Odino o elmo di Troll (in Danimarca) o ancora nei paesi germanici come elmo di ferro. Quando la religione cristiana prese il sopravvento su quelle pagane il nome fu cambiato in un più tranquillo cappello del monaco. Si narra che chiunque riuscisse ad usare il cappello di Thor aveva il potere di scomparire per ricomparire improvvisamente ed inaspettatamente tra gli uomini, cavalcando un cavallo a otto zampe, accompagnato da due lupi e due cervi. In Francia, ha invece prevalso l’aspetto legato alla bellezza dei fiori ed il nome comune usato oltralpe richiama la dea dell’amore: char de Venus, carro di Venere. Se al fiore togliamo il cappuccio esterno, nelle parti restanti, con un po’ di fantasia, potremo riconoscere le sembianze di un carro trainato da colombe.
Nel linguaggio dei fiori, l’aconito simboleggia la vendetta e l’amore colpevole.
Anche gli aconiti coltivati come piante ornamentali risultano velenosi e quindi potenzialmente pericolosi per la presenza, soprattutto di aconitina (di cui abbiamo già detto).