trevi de planu
... recuperare una disattenzione storica, come quella
subita dal nostro territorio di pianura...
... L'occhio attento ed amorevole di chi vi abita, come
quello del visitatore accorto, saprà allora cogliere...
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Il territorio della Valle Umbra è fecondo di emergenze
storiche, architettoniche e naturalistiche, molto spesso
sconosciute e in troppi casi caratterizzate da un avanzato
stato di rovina...
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Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi se
ne ricordano) da "Il Piccolo Principe"
di Antoine De Saint-Exupery
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È una tradizione tipicamente umbra.
Impegnava le nostre nonne per alcuni giorni prima della
santa Pasqua, con il rito della lievitazione naturale e
della cottura nei grandi forni a legna, presenti in quasi
tutti i casolari delle nostre campagne. Gli ingredienti
delle pizze al formaggio erano farina, uova, strutto,
pecorino, parmigiano e lievito, quello naturale del pane,
appena rafforzato con un po’ di quello di birra. Nelle pizze
dolci, i formaggi erano sostituiti con zucchero, canditi,
uvetta e un pizzico di cannella. Dapprima si faceva
“rinvenire” la così detta “massa”. Per capire il
momento topico della lievitazione, si usava spargere un po’
di farina sulla “massa” stessa, segnando l’impasto
con un leggero segno della croce, disegnato con un dito.
Quando il segno si apriva, lasciando intravedere l’interno
della “massa”, si riteneva che la lievitazione fosse
giunta al punto giusto. Aggiungendo acqua tiepida, si
lavoravano a lungo tutti gli ingredienti, sino ad ottenere
una pasta ben amalgamata, che si lasciava riposare per una
mezz’oretta, o poco meno. A quel punto si metteva l’impasto
nei recipienti di cottura: spesso si trattava di semplici
barattoli da 5 kg della conserva, dove la pasta stessa
continuava a lievitare per varie ore, sino quasi a
raddoppiare di volume. L’occhio esperto della cuoca era
determinante per individuare il momento giusto per
infornare, nel forno già caldo. Poco prima, si usava mettere
al centro della pizza un piccolo rametto d’olivo benedetto.
Dopo un’oretta di cottura, sotto l’occhio attento della
cuoca più esperta, le pizze erano pronte per la gioia di
ogni palato. Appena sfornate, ancora bollenti, se ne
spennellava la cupola superiore con del rosso d’uovo
sbattuto, operazione che avveniva con l’ausilio di una bella
e candida penna d’oca. Il calore ancora emanato dalle pizze,
faceva cuocere il velo d’uovo, contribuendo a renderne
dorata e lucente la superficie. Sulle pizze dolci a volte si
usava fare degli arabeschi con il bianco d’uovo montato a
neve, decorandole ulteriormente con confettini colorati.
Benedette nel giorno del Sabato Santo, le pizze avrebbero
costituito la parte più importante della tradizionale
colazione pasquale.

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Le pizze di Pasqua
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