trevi de planu
... recuperare una disattenzione storica, come quella
subita dal nostro territorio di pianura...
... L'occhio attento ed amorevole di chi vi abita, come
quello del visitatore accorto, saprà allora cogliere...
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Il territorio della Valle Umbra è fecondo di emergenze
storiche, architettoniche e naturalistiche, molto spesso
sconosciute e in troppi casi caratterizzate da un avanzato
stato di rovina...
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Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi se
ne ricordano) da "Il Piccolo Principe"
di Antoine De Saint-Exupery
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Incontriamo la frazione di San Lorenzo
lungo la strada che da Borgo Trevi conduce a Castel San
Giovanni e da questo a Castel Ritaldi.
San Lorenzo fu uno dei castelli di confine tra il comune di
Spoleto e quello di Trevi.
Il Piccolpasso lo descrive a pianta rettangolare, con mura
alte e merlate e tre bastioni agli angoli, con l’eccezione
di quello in direzione di Trevi; una porta con ponte
levatoio rivolta ad occidente ed un fossato che circonda il
castello. Racconta, inoltre, che le acque del fosso sono
ricche di pesci e che la campagna, abitata da quaranta
famiglie, è in gran parte il risultato di importanti lavori
di bonifica, con l’incanalamento dei vari corsi d’acqua,
l’Alveo su tutti, un tempo liberamente divaganti nella
piana. Ricorda, infine, che, in periodo di pace, rimaneva un
solo uomo a presidio del castello.
La storia ci rammenta che nel 1353 San Lorenzo fu invasa
dalla funesta compagnia di fra’ Moriale. Narriamo, in breve,
chi fu questo avverso personaggio vissuto nel XIV secolo.
Priore dell’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni (o
Gioanniti), nell’anno ricordato si pose a capo delle truppe
licenziate in Italia dal re d’Ungheria. Con i suoi accoliti
arrivò in Umbria da Colfiorito, riversandosi nel territorio
di Foligno, allora retto da Trincia VII, della famiglia dei
Trinci. Per la benevola accoglienza riservatagli da questo
casato, Moriale non arrecò alcun danno nel folignate, mentre
saccheggiò e depredò con ferocia i territori di Montefalco e
Trevi. In seguito, proseguì la sua luttuosa attività in
Toscana. Tornato a Perugia tra gli onori, ripartì alla volta
di Roma per raggiungere i suoi fratelli. Fu ucciso con
questi su ordine di Cola di Rienzo, al quale i fratelli
stessi avevano concesso un prestito di mille fiorini d’oro
in cambio di onori e ricchezze. Mille fiorini d’oro, che
erano solo una piccola parte dei 150.000 provenienti dalla
vendita delle truppe di fra’ Moriale al conte Lutz von
Landau (conte Lando), capitano di ventura al soldo dei
Veneziani. Sotto il vicariato del conte Lando, queste
truppe, passate tristemente alla storia con l’appellativo di
“Grande Compagnia”, continuarono per lungo tempo a seminare
devastazioni e morte nella nostra regione.
Tornando alla storia di San Lorenzo, ricordiamo che
all’inizio del secolo successivo questo castello fu
assoggettato ai Trinci.
All’interno delle mura vi era la chiesa dedicata al santo
Patrono, edificata nel 1350 e dal 1571 dipendenza del
plebato di Castel Ritaldi, con un proprio parroco ed un
reddito di 17 libre.
Successivamente e fino al 1824, la frazione di San Lorenzo
fu alle dipendenze del Terziere di Cannaiola, comunità
appodiata a Trevi.
Durastante Natalucci in "Historia.......di Trevi" così lo descrive: “… Ed in ogni
parte coltivato, ripieno di viti ed altri frutti, e salvo
ancora dalle acque più che qualunque altra porzione del
piano, fuorché nelle inondazioni del’Alveo che gli passa
quasi nel mezo. Avendo l’abitazioni, a riserva d’alcune
commode, per il più umili e tutte non lungi al castello,
eccettuatene certe di qua dal medesimo Alveo,…” Ed
ancora: “… Sendoci stato construtto il castello – che
prima dicevasi la Bastia – … <ed il Comune diede 50
libre di denari> per finire la torre incominciatavi, che
esiste presso la sua porta; senza però constare in qual
tempo lo alzassero con le presenti muraglie, tre torroni
alle cantonate ed il ponte levatoro per raguardo del
ingresso sopra al circuito delle acque; avendo l’antiporta
nella piazza fattale, con le lapidi della communità e ne’
passati tempi varie armi che ancora in parte esistono; con
le palle per le petriere. Mentre vicino non li si poteva
seminare il grano ed il sorco che per distanza di piedi 40,
e la canapa che lontano piedi 100…; e non li si
potevano fabricar le case d’appresso. Se bene l’abitazioni,
che nel di dentro l’esistevano, adesso sono quasi tutte
dirute e ridotte pastici di piante; eccettuatane la chiesa
dedicata a S.Lorenzo, la quale al tempo di Alexandro 3
possedevasi dal Monastero di Bovara. Del 1501 fu preteso si
unisse alla Chiesa di S.Maria di Spoleto ed il Commune ne
fece l’ostacolo. Ed ultimamente fu ristorata dal Capitolo di
S.Gregorio di lei padrone, con l’industria del sig. don
Pietro Paulo Bonilli suo presente parocho, che, per oggetto
di avervi ancora la sacristia con la sussistenza del grande
campanile, fatto ad uso di torre sopra le sue muraglie che
precipitavano, rifacendo il muro sotto del’arco, la ridusse,
abbenché minore, in stato decente e più proporzionato.…”
Dell’antico castello oggi non rimane che una torre quadrata
e un pezzo di mura. Della chiesa originaria, la sola torre
campanaria. L’antico edificio in stile romanico, ricco di
affreschi del pittore spoletino Jacopo Zampolini (1488),
fatti eseguire da Mariano Stocchi, fu, infatti, distrutto
dal sisma del 1604.
Ancora una volta possiamo annotare che nei muri più recenti
sono inseriti pezzi di antiche vestigia, che ci richiamano
alla memoria la storia millenaria della nostra pianura. Sul
sagrato della chiesa, in un muretto di recente fattura, sono
inglobate quattro vecchie pietre calcaree, chiaramente di
origine romana, che fino a pochi anni or sono erano
semplicemente appoggiate sul cortile antistante l’edificio
religioso.
La chiesa attuale, inizialmente dedicata a Santa Maria e in
seguito intitolata a San Lorenzo, è un edificio costruito,
nel 1641, all’esterno della cinta muraria medioevale dalla
Compagnia del SS.mo Sacramento ed arricchito, nel 1727,
delle reliquie del Santo titolare.
La facciata, ispirata all’arte greca, ha un portale in marmo
bianco, formato da due lesene sovrastate da un elegante
timpano: “… la quale ha la bella porta principale di
pietre lavorate; con l’adorno altar maggiore, stato dotato
in divozione della Madonna…”.
La navata della chiesa ha volta policroma a botte, con otto
cappellette laterali alle quali si può accedere tramite
arcate a tutto sesto. Di queste, quattro presentano altari
barocchi sovrastati da pale del diciassettesimo secolo (la
prima, a sinistra, in particolare, è datata 1666) nella
quinta, in alto è posta una statua del santo titolare, le
altre hanno perso la loro funzione originaria, divenendo
semplici vani di accesso.
L’abside è ricca di fregi ed ornamenti in stile
tardo-barocco, con predominanza dei colori verde-azzurro.
Sul cornicione che delimita il muro absidale si collocano
due statue, rispettivamente di san Giuseppe da Leonessa e
sant’Agata, convergenti verso un medaglione raffigurante Dio
benedicente.
L’altare maggiore è al centro del presbiterio, ai suoi lati
si trovano due candelabri in legno massiccio, riccamente
dorato, considerati veri capolavori dell’arte lignea del
barocco umbro. Dietro la facciata, infine, fa bella mostra
di sé un organo ottocentesco della fabbrica Morettini.
Nell’abitato di San Lorenzo, in una nicchia ricavata nei
muri di un’abitazione – casa Bonilli – segnaliamo un’antica
edicola che potrebbe risalire al tardo quattrocento, ma con
chiari interventi posteriori, settecenteschi.
In questa frazione, a sud sud est dell’abitato, lungo una
strada secondaria che conduce a Piè di Beroide, in
territorio spoletino, troviamo la chiesa di Sant’Anna, la
santa protettrice delle partorienti. La tradizione ricorda
questo luogo di culto come particolarmente frequentato dalle
coppie senza figli. Queste si recavano presso l’edificio a
pregare per l’arrivo del sospirato erede. Si nascondevano,
quindi, tra le canne e le canape, dove trovavano un luogo di
suggestione intimo e propiziatorio, con un incanto certo
maggiore di una casa piccola e magari sovraffollata. Nella
chiesa si recavano anche le puerpere che non riuscivano ad
avere latte sufficiente per sfamare il proprio bambino. In
questo caso per assicurarsi la discesa del latte,
appoggiavano la mammella su una forma di gesso riproducente
un fiore (rosa o margherita), attualmente inserita nella
parete di destra dell’edificio. Le neo-mamme che, viceversa,
avevano abbondanza di latte, usavano comunque recarsi nella
chiesa di Sant’Anna per versare alcune gocce del bianco
liquido materno sul pavimento, nella speranza che tale atto
fosse propiziatorio per le donne meno fortunate. Simbolismo
antico, retaggio di un passato in cui i bambini erano una
benedizione per l’intera comunità e ogni evento importante,
primo fra tutti la maternità, era vissuto collettivamente.
Ma anche percorso, tra il religioso ed il pagano, per
allontanare da se stesse il potere malefico (il malocchio,
le malie) che si supponeva potesse venire da donne sterili,
o in ogni modo meno fortunate in fatto di prole, e per
questo, forse, invidiose di quelle feconde.
Rimanendo nel campo delle tradizioni, ricordiamo un
proverbio antico: se piove per Sant’Anna, l’acqua diventa
manna, attuale soprattutto per chi vive dei frutti della
campagna, che da sempre teme la prolungata arsura del
periodo estivo.
Scavando tra i ricordi troviamo che il giorno di Sant’Anna
era l’unica giornata del periodo della trebbiatura – durante
il quale il duro lavoro nei campi si svolgeva quasi
ininterrottamente dalle prime ore del mattino fin dopo il
tramonto, prolungandosi spesso sino a notte inoltrata –
dedicata al riposo; era anche l’unica occasione di quel
periodo in cui gli addetti alla mietitrebbia – “li
machinisti” – si lavavano a fondo. La polvere e il
sudore, che in poco tempo s’impastavano sulla pelle degli
operai, erano infatti il rimedio più efficace per difenderli
da fastidiose irritazioni dermatologiche.
Ancora una volta apriamo l’opera
“Historia
… di Trevi”
di Durastante Natalucci e
leggiamo: “… la chiesa di S.Anna, non lungi al alveo,
volgarmente cognominata S.Enna e S.Avenna, ... dalle donne
[che] vi concorrono, anche da lontani luoghi, o per avere il
latte o per sfuggire il male nelle mammelle, raccomandandosi
alla santa, anzi spargendo il latte dalla zinna nella pietra
contigua al altare dove è scolpita la rosa – nonostante le
replicate proibizioni de’ vescovi – per essere loro grande
la speranza di conseguirne la grazia ed averne sempre
l’intento.”
In un percorso mistico-propiziatorio, potremmo unire la
visita della chiesa di Sant’Anna a quella di S. Maria
Pietrarossa, con l’adiacente pozzo di San Giovanni, per
ricordare come a queste Sante donne abbiano sempre fatto
appello le comuni mortali in difficoltà, riconoscendole come
divinità taumaturgiche in un contesto sociale-sanitario in
cui il ricorso al mondo magico-religioso era forse l’ultima,
se non l’unica, speranza di guarigione e salvezza.
Da Sant’Anna possiamo anche andare a
scoprire i ruderi di un’antica chiesetta, ormai
completamente sepolta da olmi ed altra vegetazione
infestante. Torniamo sulla strada per San Lorenzo,
raggiungiamo Castel San Giovanni e, attraversato l’Alveo,
prendiamo la prima via a sinistra. Poco prima di raggiungere
Podere Morella, a mancina notiamo tra i campi la sagoma
incerta della chiesetta di San Sebastiano, nascosta da
alberi ed arbusti: “E la chiesa di S.Sebastiano, circa aj
confini di Beroide, ora derelitta e senza la porta; con i
beni stimati il 1577 libre 11.” Anche oggi, superato il
fitto velo della vegetazione, possiamo notare che di questa
pieve restano solo pochi tratti degli antichi muri.
Percorrendo la strada che dalla Faustana
conduce a San Lorenzo, incontriamo un’altra chiesetta
isolata, che richiama alla memoria frammenti della nostra
storia millenaria.
Si tratta di Sant’Apollinare, un piccolo edificio di culto
in stile romanico, ad unica navata ed abside semicircolare,
coperto da un semplice tetto a capanna. All’interno due
arconi a tutto sesto ne sorreggono la travatura, mentre
nell’abside rimane l’unico affresco della chiesa, peraltro
molto deteriorato, raffigurante il santo titolare.
Come si osserva in quasi tutte le chiese dell’epoca, anche
Sant’Apollinare è disposta con l’abside ad oriente, alla
levata del sole, e l’ingresso ad occidente, dove l’astro
tramonta.
L’edificio attuale è frutto di una ricostruzione totale, che
si può far risalire al XII secolo, e di successivi
rimaneggiamenti, specie nella parte superiore.
Non abbiamo documenti che ci indicano con esattezza l’anno
di costruzione di questa chiesetta. La dedicazione a sant’Apollinare,
santo particolarmente caro alle genti longobarde, fa
supporre agli storici che l’origine possa risalire al
VI-VIII secolo, quando Spoleto era, appunto, un ducato
longobardo (dal 570 al 774).
La prima notizia di questo luogo di culto nei documenti
storici risale al 1177, quando Sant’Apollinare è citata in
un breve di papa Alessandro III, che la riconosce, insieme
ad altre cento chiese, sotto la giurisdizione del monastero
benedettino di S. Pietro di Bovara e tale era ancora nella
seconda metà del 1700, come ci ricorda Durastante Natalucci
nella sua “Historia … di Trevi”, quando fu arricchita con “un
nuovo quadro del suo santo”.
Nei documenti più antichi è citata come Sant’Apollinare di
Porcaria, dal vecchio toponimo della località su cui sorge e
che solo successivamente prese il nome dal castello di San
Lorenzo. Nel XVIII secolo la zona era conosciuta come
vocabolo Sant’Apollinare.
Nella costruzione di questa antica chiesa furono
riutilizzate una ventina di grosse pietre squadrate,
provenienti da costruzioni romane ormai scomparse. Su
quattro di esse troviamo incisa un’antica iscrizione di
particolare interesse per l’epigrafia latina.
La particolarità più interessante di Sant’Apollinare è la
sua ubicazione, probabilmente posta all’incrocio di due
strade, tra le più importanti della valle trevana.
Ci riferiamo alla vecchia strada che da La Bruna (nel comune
di Castel Ritaldi) porta alla località Faustana e ad un
antico tracciato (diverticolo) della via Flaminia, “tanto
antico e da tanto tempo abbandonato che se ne era persa
memoria”.
La prima seguiva il limite settentrionale di quello che
nell’antichità era considerato un bosco sacro, sacralità
codificata in una pietra scolpita, riportante la legge del
bosco, ritrovata nel 1913 a Picciche. La strada collegava
gli antichissimi tracciati di valico ai due lati della
valle. Da ovest e sud-ovest vi pervenivano gli itinerari che
attraversavano i Monti Martani, collegati all’altro ramo
della via Flaminia; da nord-est, le vie di comunicazione con
Trevi, con la Valle del Menotre e la Via della Spina.
Della seconda riportiamo alcune notizie che abbiamo avuto
modo di scoprire leggendo la pagina dedicata a Sant’Apollinare
sul sito della Pro Trevi, che invitiamo tutti a “visitare”,
curato da Franco Spellani, autore delle note che seguono:
“Fino a trenta anni fa si sapeva che l’antica Flaminia
scorreva rettilinea da Spoleto a Pié di Beroide, da dove
deviava poi a nord est, verso Trevi, per portarsi a
scavalcare il Clitunno al ponte di Faustana. Solo nel 1965
uno studioso dell’Istituto Geografico Militare, dall’esame
delle fotografie aeree ha individuato la traccia di
un’antica strada che da Pié di Beroide proseguiva in linea
retta lungo il fosso La Viola fino a Pietra Rossa dove
sorgeva l’antica Trevi del Piano.
Questo ipotetico tracciato fu forse adoperato in alternativa
all’altro quando lo permettevano le condizioni del fondo
valle, spesso inondato dal Marroggia e fino a quando la
palude non si riappropriò del terreno. Ma, sebbene
chiaramente rivelato dalla foto aerea, come affermato dal
suo scopritore, aveva bisogno di una concreta conferma sul
terreno.
Una prima conferma ci può venire dalla toponomastica, poiché
il fosso La Viola può essere stato così chiamato perché
scorreva in prati ricoperti di fiori di tal nome, ma sembra
più probabile che venisse chiamato Fosso della Viola perché
scorreva vicino ad una strada minore ormai in disuso.
Infatti il suffisso -olo (al femminile -ola) forma il
diminutivo, nella lingua latina come nella nostra e pertanto
viola potrebbe essere stato usato come diminutivo di via,
sostantivo latino propriamente traducibile in italiano con
il termine strada.
Ma un’ulteriore e decisiva conferma viene dal grandioso
monumento sepolcrale i cui resti sono conservati nella
cortina muraria di Sant’Apollinare, poiché le tombe romane
giacevano lungo le strade e una tomba così imponente fu
eretta verosimilmente presso una strada importante: la Via
Flaminia, appunto.”
Concludiamo con una riflessione: Sant’Apollinare è una
piccola chiesa, in pochi la conoscono e passerebbe certo
inosservata se non spiccasse così solitaria tra i rettilinei
corsi d’acqua della bonifica planiziale e le polverose
strade rurali della campagna trevana. Eppure, un’analisi
attenta, di cui abbiamo riportato brevi cenni, ci dimostra
come in queste poche pietre si racchiudano tesori
inestimabili per l’epigrafia classica e spunti appassionanti
per ricostruire i più antichi percorsi della nostra
viabilità, in parte ormai perduta. “Leggere” con attenzione
certi segni del nostro territorio può, dunque, rivelarci
spezzoni affascinanti del nostro passato, del quale solo in
apparenza sembra oggi scomparsa ogni traccia.

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Parrocchiale di S.Lorenzo
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