trevi de planu
... recuperare una disattenzione storica, come quella
subita dal nostro territorio di pianura...
... L'occhio attento ed amorevole di chi vi abita, come
quello del visitatore accorto, saprà allora cogliere...
continua>>
Il territorio della Valle Umbra è fecondo di emergenze
storiche, architettoniche e naturalistiche, molto spesso
sconosciute e in troppi casi caratterizzate da un avanzato
stato di rovina...
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Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi se
ne ricordano) da "Il Piccolo Principe"
di Antoine De Saint-Exupery
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Poco a valle della S.S. n. 3 Flaminia,
circa al km 144,300, attraversato un sotto passo della
ferrovia, troviamo la frazione di Pietrarossa.
In corrispondenza di questo nucleo, come narra Durastante
Natalucci nella sua “Historia … di Trevi” e secondo
un’antica tradizione, sorgeva la Trevi antica, il municipio
romano di Trebiae. Dalla lettura di questo, e di
altri testi di storia locale, sembrerebbe che la “nostra”
città “… Acquistò grande rilevanza quando, in età
imperiale, fu ripristinato l’antico corso della Flaminia e
si sviluppò in pianura, in località Pietrarossa, una vera
civitas con edifici monumentali di cui rimangono numerosi
resti, mentre sul colle seguitò a sussistere l’arce
fortificata con robuste mura del I sec. a.C. tuttora
visibili…”. In “TREVI - Guida Turistica” leggiamo a tal
proposito che: “… Il commento alle satire di Giovenale,
accennando al Clitunno, non lascia dubbi “Fluvius qui Trevis
civitatem Flaminiae interfluit”. L’importanza del
municipio trevano fu certamente rafforzata dall’aumentata
evidenza del ramo secondario della strada Flaminia, che
attraversava la valle umbra, passando di fronte alla
facciata della chiesa di Santa Maria Pietrarossa. In un
certo momento della sua storia, Trevi viene anche ricordata
come stazione intermedia tra Spoleto e Foligno e, in un
documento degli inizi del XII secolo, si narra di una via
che da Casale “vadit a Trevi de planu”.
La decadenza e la scomparsa pressoché totale della città di
pianura si potrebbe spiegare con le rovine prodotte dagli
eventi sismici, che nei secoli hanno afflitto la nostra
regione, e citiamo, in particolare, il terremoto del 365 d.C,
che secondo alcuni autori distrusse l’antica Trebia del
piano. Non scordiamo, poi, quanto abbiamo descritto a
proposito delle paludi che resero a lungo malsana e
certamente inospitale la nostra bella valle, quando anche la
via Flaminia, proprio per questo motivo, fu spostata più a
monte e arricchita con diverticoli pedemontani, a
testimonianza dei quali vi è la presenza di piccole pievi
medievali.
Alcuni studiosi di storia locale non concordano, però, con
la tesi della presenza in pianura di una vera città, ad es.
Giuseppe Guerrini in “Le fonti storiche e documentarie sulla
chiesa di S. Maria Pietrarossa”, ne “La chiesa di Santa
Maria Pietrarossa presso Trevi…”, dice: “… Ma la
tradizione ci dice soltanto che a Pietrarossa,
nell’antichità, fu fabbricato qualcosa di grande, forse una
città, forse Trevi stessa. Però se Pietrarossa fosse stata
una città Plinio ne avrebbe parlato; il suo silenzio, in
questo caso, conferma che doveva esserci laggiù qualche cosa
di maestoso ma non una città…”. Ne “Le memorie
francescane di Trevi”, anche don Aurelio Bonaca afferma che
Trevi anticamente si trovava là dove è attualmente ubicata e
che le grandiose costruzioni presso Pietrarossa erano da
attribuire al “balineum degli Ispellati”.
Non potendo aggiungere riferimenti importanti a favore
dell’una o dell’altra ipotesi, ci limitiamo a suggerire una
visita a Pietrarossa, dove sorge la bella chiesa di Santa
Maria Pietrarossa, una volta conosciuta con il nome di Santa
Maria de Pie’ de Trevi. Si tratta di un edificio
tardomedioevale (fine XIII inizio XIV secolo) con alcuni
elementi architettonici, situati sotto all’attuale piano di
campagna, che potrebbero indicarci anche una datazione più
antica. La presenza di reperti tratti da edifici romani si
spiega, invece, con l’usanza, diffusissima nel Medioevo,
d’impiegare pezzi di vecchie costruzioni per la
realizzazione di nuove. Il portico può risalire al XV secolo
e alla fine del secolo successivo data il campanile aggiunto
in fondo alla navata destra. La costruzione si presenta
piuttosto irregolare ed asimmetrica, con vasti restauri
dovuti, tra gli altri, ai danni del terremoto del 1832 e
alle devastazioni della seconda guerra mondiale.
La presenza del grande porticato è da collegarsi alla
necessità di ospitare un gran numero di persone che
convenivano in questo luogo, sia per motivi religiosi, sia
sociali. Presso la struttura, che come già ricordato sorgeva
lungo un’importante via di comunicazione, si svolgevano,
infatti, fiere e mercati. Il loggiato diviene, allora,
elemento di congiunzione tra la parte sacra, rappresentata
dall’interno della chiesa, e le attività profane che si
svolgevano nell’area esterna.
L’importanza storico-architettonica della chiesa di
Pietrarossa è da attribuire ad alcuni frammenti antichi, con
la quale è stata in parte edificata, e, soprattutto, ai suoi
affreschi, presenti sui muri interni ed anche sotto al
porticato, in particolare figure votive e devozionali, quasi
sempre di livello popolaresco. Attualmente la chiesa è
transennata per i danni causati dall’ultima crisi sismica
(1997-98) che ha colpito la nostra regione e che ha dato il
classico “colpo di grazia” ad una struttura già deteriorata
dal tempo, dall’incuria dell’uomo e dalla devastante
umidità, sia nelle murature, sia anche nelle opere
pittoriche.
Un elemento di curiosità della struttura risiede,
certamente, nel nome Pietrarossa, legato ad una
pietra, ovviamente di colorazione rossiccia. Questa si
trova, oggi, incastrata nel secondo pilastro a destra,
entrando nella chiesa; un tempo era collocata, forse, in uno
dei bagni delle antiche terme, il Balineum Publicum,
di cui ha parlato Plinio il Giovane. La devozione di un
tempo riconosceva a tale pietra virtù terapeutiche, sia
curative, sia favorevoli alla fecondità. Per ottenerne i
prodigi, la tradizione voleva che s’introducesse l’indice
della mano nel foro presente al centro della pietra rossa,
azione che doveva essere seguita da tre giri intorno
all’altare, toccando l’immagine, qui affrescata, di san
Giovanni. Solo dopo aver compiuto questi atti devozionali,
si poteva attingere l’acqua dal pozzo presente all’esterno
della chiesa e dedicato al Santo Battista, per berla o fare
lavaggi purificatori.
In una cronaca del Mugnoni si dice “… 1448 del mese de
luglio e de augusto, et certi altri dicevano che la notte de
Santo Johanni del mese di jugno, apparì quell’acqua santa
addosso ad Santa Maria de pié de Trevi dove c’è facta quella
maestà et dove ce sono quilli bagni…”.
La tradizione, come sempre miscellanea tra sacro e profano,
prevedeva anche la recitazione di una serie definita di
Padre Nostro e Ave Maria sui gradini del loggiato, davanti
la chiesa e sui gradini dell’altare (5, 7, 12); quindi tre
giri intorno all’altare ed ancora 15 preghiere e tre giri
intorno alla colonna in cui è collocata la pietra rossa,
recitando altre preghiere (10 P.N. e A.M.).
La pietra rossa è un blocco lapideo della misura di
circa 64 x 42 x 14 cm, con un foro centrale. Da un punto di
vista geo-litologico è un pezzo della formazione della Serie
stratigrafica Umbro-Marchigiana, denominata Scaglia Rossa
s.l., che può essere datata, con molta approssimazione, tra
50 e 100 milioni di anni or sono. La formazione in esame è
piuttosto frequente nell’area trevana. Si potrebbe trattare,
pertanto, di una pietra estratta in una qualunque delle
piccole cave che, aperte anche per le necessità del momento,
sono state successivamente abbandonate.
Davanti alla chiesa troviamo, come detto, il pozzo di San
Giovanni, citato in molti testi antichi per le sue acque
taumaturgiche. Secondo la tradizione, l’acqua fuoriusciva
dal pozzo con frequenza annuale e con maggiore abbondanza
ogni trenta anni circa, nella notte di San Giovanni (notte
del 24 Giugno) ed era allora che, evidentemente, esercitava
il suo maggiore potere terapeutico.
Nella notte della vigilia della festa del Santo, al pozzo
accorrevano anche le nubili, invocando la grazia di un
marito. In breve tempo, divenne prassi che i giovani, talora
malintenzionati, talora con il consenso delle interessate,
rapissero le fanciulle che vi convenivano. La processione
delle nubili fu così abolita, per scongiurare disordini
evitabili con difficoltà.
Per quanto concerne le massime portate registrate dal pozzo
ogni trent’anni circa, possiamo annotare che sono da
collegare alle variazioni piezometriche della falda,
connesse alle fluttuazioni climatiche che hanno
caratterizzato la nostra regione.
Pietrarossa e l’acqua del pozzo di San Giovanni meritano una
citazione particolare, perché testimoni di uno dei quattro
episodi di cui si ha “speciale memoria” della presenza di
san Francesco a Trevi. Si tratta della visita al lebbrosario
dei santi Tommaso e Lazzaro – edificio visibile a monte
della S.S. n. 3 Flaminia all’altezza del bivio per
Pietrarossa. Qui il Santo si fermò a lungo, prendendosi cura
degli ammalati che consolava e guariva, secondo la
tradizione, lavando le loro piaghe presso la chiesa di Santa
Maria di Pietrarossa, con l’acqua del pozzo lì presente.
Torniamo ora alla storia profana dei nostri luoghi.
Come abbiamo già anticipato con la citazione di d. Aurelio
Bonaca, nella zona di Pietrarossa, lungo la riva del sacro
fiume Clitunno, sorgevano sicuramente i bagni che Augusto
donò agli Spellani. In quei tempi il fiume Clitunno aveva
sin dalle scaturigini una portata e un’ampiezza che lo
rendevano navigabile nei due sensi. L’energia della corrente
era tale che le imbarcazioni lo discendevano senza l’uso dei
remi, mentre occorreva molta forza di braccia per risalire
verso la sorgente. Nel 446 d.C. un terremoto disastroso
devastò la nostra regione, e non solo. Probabilmente, questo
evento rase al suolo quanto era rimasto in piedi dopo le
scosse telluriche del 365, o che magari era stato
ricostruito nel periodo trascorso. Certamente, ridusse il
Clitunno alla modesta portata attuale.
Gli effetti del disastroso terremoto contribuirono,
sicuramente, al progressivo impaludamento della vallata,
insieme al declino di Roma – quindi al venire meno delle
opere di mantenimento del territorio – e al peggioramento
climatico registrato nel V secolo. Tutti questi elementi
concorsero anche a porre la parola “fine” sull’esistenza
della Trevi de planu e sull’antica fortuna turistica
dell’area di Pietrarossa.
Come annotazione a termine di tutte
queste considerazioni, ricordiamo che il fiume Clitunno è
anch’oggi foriero, seppure limitatamente alla località
sorgiva delle “Fonti del Clitunno”, nel comune di Campello,
di un importante indotto turistico. Questa volta, tuttavia,
del genere “mordi e fuggi”, con l’inevitabile degrado che, a
nostro avviso, può conseguire, soprattutto alla naturalità e
all’amenità dei luoghi.
Era il 1852, quando il conte Paolo Campello diede alle fonti
l’impianto scenografico-paesaggistico che possiamo ancora
oggi ammirare: “Io feci togliere molta terra affinché
quello che allora dicevano “pozzo piano” si potesse
praticare con battello. Fatte indietreggiare le ripe, prese
l’aspetto di lago dal più limpido fondo che si direbbe di
zaffiri e lapislazzuli”.
Qui, polle d’acqua limpidissima formano un piccolo lago,
contornato da rive erbose, ombreggiato da salici e pioppi, i
primi importati nell’ormai lontano 1865, dall’Isola di Sant’Elena.
Luoghi resi famosi da incisori e pittori, come Poussin,
Minardi, Wilson, Corot.
Luoghi straordinariamente descritti da Plinio il Giovane e
cantati da Lord Byron.
Luoghi poeticamente ricordati da Carducci nella sua “Ode
alle Fonti del Clitunno”:
“… Oscure intanto fumano le nubi
su l’Apennino: grande, austera, verde
da le montagne digradanti in cerchio
l’Umbria guarda…”.
E noi, guardando questi verdi spazi,
coltiviamo in segreto la speranza che anche chi ci seguirà,
continuerà a trovarvi, immutato, l’antico incanto.

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La chiesa di S.Maria di Pietrarossa
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