trevi de planu
... recuperare una disattenzione storica, come quella
subita dal nostro territorio di pianura...
... L'occhio attento ed amorevole di chi vi abita, come
quello del visitatore accorto, saprà allora cogliere...
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Il territorio della Valle Umbra è fecondo di emergenze
storiche, architettoniche e naturalistiche, molto spesso
sconosciute e in troppi casi caratterizzate da un avanzato
stato di rovina...
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Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi se
ne ricordano) da "Il Piccolo Principe"
di Antoine De Saint-Exupery
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Cannaiola sorge al centro della pianura
trevana lungo la strada che, incrociando quasi
perpendicolarmente via Nuova (l’attuale S.P. n. 447) volge a
meridione, verso Picciche ed il territorio di Castel Ritaldi,
prendendo il nome di via S.Angelo Nuovo. A nord, la via
corre verso la campagna, segnandovi il confine
amministrativo con il Comune di Montefalco e prendendo il
nome di via Paduli, un toponimo che ci ricorda un passato di
paludi e di malaria.
Negli ultimi decenni, la crescita demografica ha comportato
la costruzione di nuove abitazioni anche lungo la stessa
strada provinciale.
Il paese occupa uno dei punti più depressi della Valle Umbra
che, come abbiamo già ricordato nel paragrafo sulla
bonifica, ha visto le alterne vicende del risanamento delle
paludi delle quali, tuttavia, residuano alcuni piccoli
stagni, oggi sicuramente interessanti dal punto di vista
naturalistico.
Scrive il Bonilli che Cannaiola, in passato, vantava qualche
preminenza sui borghi circostanti, tanto che era considerato
il capoluogo del “Terziere del Piano”. Fu sede di un
“Municipio”, più comunemente chiamato “Università di S.
Angelo”, che aveva possedimenti terrieri piuttosto estesi e
sulla provenienza dei quali non si hanno notizie sicure. Di
certo si sa che il timbro garante dell’Università, era
identico a quello della parrocchia e portava la scritta
“UNIVERSITAS S. ANGELI IN CASTRO NOVO” intorno all’immagine
di san Michele Arcangelo, patrono, allora come oggi, della
comunità di Cannaiola.
Le sole persone deputate ad amministrare il Comune, i così
detti “Massari e Camerlenghi”, erano gli abitanti originari
del paese ed era istituzionalizzato “un annuo canone di
scudi 15,1…” a beneficio della chiesa parrocchiale. I
consigli di amministrazione si tenevano, di norma, “…
nelle stanze poste sopra il tempietto del castello
intitolato a S. Nicolò”, di cui diremo in seguito.
Il Comune ebbe autonomia fino al 1801, quando il Governo
pontificio, per pagare i molteplici debiti, fu costretto a
rendere demaniali molti possedimenti comunali, tra cui,
appunto, quelli di Cannaiola. Questa Comunità continuò,
tuttavia, ad amministrarli fino al 1826 per mezzo di due
persone, i così detti “Deputati del Castello”. Nello stesso
anno, “per ordine della Congregazione del Buon Governo, i
beni del Comune di Cannaiola furono ceduti in enfiteusi
perpetua a quello di Trevi …”, decretando di fatto la
fine di questo piccolo municipio di campagna.
Nel territorio di Cannaiola ebbero importanti possedimenti
le Abbazie di Sassovivo e di San Pietro di Bovara, mentre
agli inizi del 1800 troviamo che la proprietà era in larga
parte in mano alle famiglie benestanti del posto, tra cui
spiccavano i Ciccaglia di Trevi. Di questa famiglia si dice
che fosse originaria del castello di S.Giacomo di Spoleto e
che avesse inizialmente il nome di Clarici. Di certo era
l’unica famiglia a possedere in paese anche un’abitazione la
quale “… sia all’esterno che all’interno avesse aspetto
di ricca…”. La casa, ancora esistente, mantiene quasi
inalterato il suo aspetto esterno originario ed è oggi di
proprietà della famiglia Bonazzi Bonaca.
Il toponimo Cannaiola richiama le paludi ricche di cannucce
che infestavano questo territorio rendendolo malsano,
inospitale e luogo di malaria, tanto che l’ospedale di Trevi,
per interessamento di un certo M. Monticelli, gestiva dei
lasciti che venivano utilizzati “onde somministrare
gratuitamente ai poveri di Cannaiola ogni sorta di medicina”.
L’insalubrità del posto sembra venisse aggravata anche
dall’abitudine di macerare la canapa in prossimità delle
abitazioni, nelle acque rese all’uopo stagnanti. Tale
consuetudine durò fino al 1854, quando gli abitanti di
Cannaiola, proprio per prevenire le infestazioni di malaria
che li stavano consumando, vennero obbligati ad utilizzare
come maceratoi i corsi d’acqua posti più a oriente, oltre il
Fiumicello dei Prati. Da qui deriva, presumibilmente, anche
l’attuale toponimo di Canapine dato alla zona – posta nei
pressi di Borgo Trevi, ad ovest della ferrovia – oggi
utilizzata per la produzione di ortaggi, tra cui il famoso
sedano nero di Trevi.
Se è vero che differenti fonti riportano notizie sulla
insalubrità di questi luoghi relativamente alle affezioni
malariche, è abbastanza singolare – e per questo la
riferiamo – la notizia riportata dal Bonilli secondo la
quale “… dalla gran peste che nel 1500 desolò tutta
l’Italia fino al colera del 1867, nessun morbo di tal specie
è comparso in questo paese”.
Anche se l’etimologia del nome Cannaiola sembrerebbe avere
origine dalle cannucce che crescevano nelle paludi, non
possiamo sottacere che potrebbe derivare anche dal termine
“canale” (canaiola o canaviola). In questo
caso il nome gli deriverebbe, dunque, dall’essere stata per
lungo tempo al centro di una terra da bonificare, ma
soprattutto per aver sofferto, più di altre zone, le alterne
vicende del risanamento. Queste sono state, troppo spesso,
legate e soggette al campanilismo dei comuni circostanti,
specialmente di quello di Montefalco, nel cui territorio
debbono necessariamente defluire le acque dei canali che
attraversano il nostro territorio. Con detto municipio, la
controversia si chiuse soltanto nell’anno 1866. Da quel
momento si avviarono tutti i lavori indispensabili per far
defluire le acque stagnanti oltre la pianura trevana. Il
promotore principale di quest’opera, secondo quanto ci
riferisce il Bonilli, fu Tiberio Natalucci di Trevi “cui
Cannaiola dovrà eterna gratitudine”.
Il terreno reso sgombro dalle acque si mostrò ben presto
argilloso e piuttosto tenace, tanto che la sua messa a
coltura non fu certamente impresa facile.
Fino ai primi decenni del novecento, in particolare fino
all’avvento dei concimi chimici e delle trattrici, le rese
delle colture erano, infatti, piuttosto basse.
L’accentramento della proprietà nelle mani di pochi e la
conseguente diffusione della mezzadria, determinarono,
inoltre, in questa zona condizioni di vita miserabili,
spesso al limite della sopravvivenza umana, resa possibile
soltanto dal duro lavoro nei campi, dall’alba al tramonto.
Oggi si coltivano, con discreto successo, cereali, colture
da rinnovo, tabacco, ortaggi e viti. Tra queste ricordiamo,
in particolare, le viti di Trebbiano spoletino, un tempo
esclusivamente maritate all’acero e all’olmo, di cui restano
ormai pochi esemplari, e che trovano confacente il tipo di
terreno qui presente. Si tratta di un vitigno locale
appartenente alla famiglia dei trebbiani che dà un vino
particolarmente robusto, fresco ed aromatico. È diffuso
soprattutto nelle frazioni spoletine di San Brizio, Protte,
Beroide e Camporoppolo, in quelle di La Bruna e Castel San
Giovanni, nel comune di Castel Ritaldi, ed inoltre a Fratta
di Montefalco e nelle frazioni di Cannaiola, Picciche e San
Lorenzo di Trevi.
Tornando alla nostra storia, ricordiamo che il paese di
Cannaiola era noto inizialmente con il nome di Sant’Angelo
in Arsicciali, poi con quello di Castelnuovo,
infine di Castello di Cannaiola e quindi, più
semplicemente, di Cannaiola.
Notizie tramandate oralmente – l’archivio parrocchiale fu,
infatti, bruciato dai Giacobini all’inizio del XIX secolo,
con la conseguente distruzione di tutte le fonti
documentarie più importanti – ci dicono che, agli inizi del
1400, il nucleo originario si trovava circa mezzo chilometro
più ad est dell’attuale paese, in località Fiumicello dei
Prati, in un punto assai infelice della vallata ove i corsi
d’acqua s’impaludavano frequentemente. Quel luogo viene
ancora oggi chiamato Sant’Angelo Vecchio, probabilmente in
contrapposizione al toponimo Sant’Angelo Nuovo con il quale,
come detto, viene denominata la via principale del paese. In
quel sito, le arature dei campi hanno spesso riportato alla
luce resti di murature ed altro materiale comunemente
utilizzato per le costruzioni.
Il primo nucleo abitato si era sviluppato intorno alla
chiesa parrocchiale di Sant’Angelo in Arsicciali – da cui
prese nome il paese, il cui materiale di risulta fu
successivamente utilizzato, almeno in parte, per la
costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale.
Nulla resta di questo primo agglomerato: tuttavia possiamo
notare che l’ingresso di alcune antiche case coloniche
ancora esistenti, notoriamente tra le più vecchie del borgo,
risulta opposto all’attuale viabilità principale e guarda,
invece, verso il luogo ove doveva essere ubicata l’antica
parrocchiale ed il primo nucleo abitato. Quello che
sembrerebbe un controsenso potrebbe, in realtà, essere la
testimonianza dell’esistenza in quella località del paese
originario.
Allo stesso periodo si possono far risalire anche le prime
costruzioni in via Paduli, altro luogo particolarmente
soggetto alle inondazioni. Si può affermare, pertanto, che
il paese era inizialmente formato da più agglomerati,
distanti alcune centinaia di metri l’uno dall’altro, dei
quali, in ogni caso, il principale era quello edificato in
località Sant’Angelo Vecchio, presso il Fiumicello dei
Prati.
Dopo il 1300, il torrente Tatarena, che scorreva lungo
quella che oggi è la strada principale del paese, per
ragioni di bonifica territoriale fu spostato ad occidente,
ove venne opportunamente arginato e dove scorre anche
attualmente. Gli abitanti, a quel punto, si trovarono una
via rettilinea già pronta – il vecchio alveo abbandonato – e
pensarono bene di utilizzarla come strada. Ciò portò alla
successiva decisione di fabbricare le nuove case lungo la
viabilità appena realizzata, facendo così sorgere il nucleo
di via S.Angelo Nuovo e determinando il progressivo
spostamento del paese verso occidente.
A meridione dell’abitato, lungo la strada che conduce a
Picciche, si trovano ancora le mura dell’antico Castello.
Questo aveva forma quadrangolare e un’unica porta verso
oriente, sormontata da una torre pure, quadrangolare, con
feritoie. All’interno della torre, originariamente vi erano
dei vani circolari, utilizzati per il deposito delle armi.
Il Castello di Cannaiola fu costruito intorno al 1540 per
ordine del Comune di Trevi, soprattutto a scopo di difesa “…
in quell’epoca malaugurata di guerre civili e di fraterne
discordie…” - "Historia universale dello
stato temporale ed ecclesiastico di Trevi 1745" di
Durastante Natalucci. -
Era circondato da un largo fossato che
abbondava di pesci e di rane, superabile con un ponte
levatoio. All’interno vi erano poche abitazioni utilizzate
dalla popolazione solo in caso di necessità e una chiesina
dedicata a s. Nicolò di Bari, con affreschi del 1476. Caduto
in completa rovina, il piccolo luogo di culto venne
definitivamente demolito nel 1869 e le pietre furono in
parte riutilizzate per i rimaneggiamenti della chiesa
parrocchiale. Parimenti, non restano tracce delle altre
costruzioni interne. Il Bonilli, storico per eccellenza di
Cannaiola, riferisce anche del crollo delle mura meridionali
del castello, avvenuto nel 1850: è evidente, quindi, che
quelle esistenti sono state ricostruite in epoca posteriore.
Dal 1877, in seguito al divieto imposto dai francesi di
seppellire i defunti sotto i pavimenti delle chiese, il
castello fu trasformato in cimitero civico e ancora oggi le
sepolture avvengono all’interno di quello che fu l’antico
fortilizio.
Il paese conta oggi circa 1.000 abitanti la cui economia è
ancora prevalentemente di tipo rurale, seppure il reddito
derivante dal lavoro dei campi integra ormai quello
principale, legato all’occupazione nella piccola industria
locale, nel terziario e nel pubblico: sono invece
praticamente scomparse le ricche famiglie possidenti che ne
avevano caratterizzato l’economia all’inizio dell’ottocento.
L’attuale centro abitato è costituito da
gruppi di case unifamiliari piuttosto piccole, di più antica
costruzione, addossate le une alle altre, con in comune i
muri perimetrali. Accanto a queste compaiono singole
abitazioni, di costruzione più recente, con annessa corte.
In alcune, in particolare, si può ancora riconoscere la
struttura tipica di quella che era la casa colonica di un
tempo, diffusa in queste zone, con la scala d’accesso
esterna e la loggia coperta.
Lungo le strade, isolate ai crocicchi della viabilità
principale, o incastonate nei muri delle abitazioni, si
trovano (in taluni casi si trovavano) delle edicole sacre, a
testimonianza di un’antica devozione popolare. Alcune di
esse sono di scarso o nullo valore artistico, altre, invece,
si presentano affrescate e appaiono sicuramente di maggior
pregio. Alcune sono state, purtroppo, demolite da pochi
decenni, per le opere di ampliamento della sede stradale: di
queste resta solo il racconto delle persone più anziane.
Vale la pena di rammentarne alcune, come quella sita
all’angolo nord orientale dell’incrocio di via S.Angelo
Nuovo con via Castello, nella quale era dipinto il patrono
di Cannaiola, san Michele Arcangelo; o, ancora, quella che
si trovava davanti all’attuale scuola elementare,
all’incrocio di via S.Angelo Nuovo con via Cavanella. Tra
quelle ancora presenti, citiamo, quella incastonata nel muro
di casa Bonazzi Bonaca – la vecchia casa Ciccaglia, già
nominata in queste note, di fronte alla chiesetta di Sant’Antonio
Abate; o ancora, quella posta all’angolo nord occidentale
dell’incrocio tra via Nuova e via Cavanella, più recente,
databile intorno agli anni trenta. Questa reca affrescata
l’immagine della Madonna della Stella ed è un ex-voto, per
grazia ricevuta, della Famiglia Pergolari.
All’incrocio tra via Nuova e via S. Angelo nuovo, si
incontra la piccola chiesa di San Fedele da Sigmaringa, già
dedicata a s. Felice. Andata in progressiva rovina, fu
risistemata nell’anno 1805 dalla famiglia Paolini e da
questa dedicata al Martire Cappuccino. Vi si celebravano due
feste importanti ogni anno, nel giorno dell’Ascensione e in
quello dei SS. Pietro e Paolo, durante le quali, per
tradizione, la famiglia Paolini, una delle famiglie
benestanti della zona, distribuiva ai poveri pagnotte di
pane.
Poco distante dalla chiesa parrocchiale, sulla via S. Angelo
nuovo, si incontra la chiesetta seicentesca di S. Antonio
Abate – già menzionata – fatta edificare nel 1660 dal
parroco don Flaminio Renzi. Questa ha un solo altare
dedicato al Santo e sulla parete un quadro che, come ci
ricorda don Pietro Bonilli, “orridamente rappresenta la
Vergine, S. Antonio e S. Filippo Neri”.
Tra le chiese minori, lo stesso Bonilli cita anche quella
dedicata a S.Francesco di Paola, situata fuori dal paese, in
località La Cuccia. Della stessa, tuttavia, non siamo
riusciti a trovare altre tracce.
Al centro del paese, su un terrapieno opportunamente
predisposto per evitare eventuali allagamenti, si erge la
chiesa Parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo. Eletta
santuario, accoglie oggi le spoglie mortali del beato Pietro
Bonilli, elevato agli onori degli altari da papa Giovanni
Paolo II il 24 aprile 1988.
L’inizio della costruzione della chiesa è datato intorno al
1602, ma nel corso degli anni è stata più volte ampliata e
rimaneggiata. Oggi si presenta internamente in stile barocco
mentre la copertura è stata modificata ulteriormente da
pochi decenni e le volte a crociera sono state sostituite da
capriate in legno e pianelle, di stile francescano.
Nel 1606 fu completata anche l’edificazione del campanile,
di forma quadrata, che ha mantenuto inalterata nel tempo la
sua struttura originaria e costituisce, quindi, un
interessante esempio dell’architettura di quel periodo.
Sul lato destro, per chi entra nella chiesa, è posto il
simulacro di san Marice, martire romano e co-protettore di
Cannaiola dal lontano 1647. Ai piedi della statua si
conservano i suoi resti mortali, concessi ai fedeli da papa
Innocenzo X nel 1648, successivamente alla riapertura delle
catacombe romane. Insieme a s. Marice, lo stesso Papa
concesse anche le reliquie dei martiri Abbondio, Adriano,
Giocondo, Maurizio, Quirino e Teodoro. Anche queste sono
conservate nel santuario, all’interno di alcune teche.
Sulla parete sinistra della chiesa troviamo un crocefisso
ligneo di stile barocco.
In seguito agli eventi sismici che nel 1997 hanno sconvolto
questa parte dell’Umbria, nel 1998 le spoglie mortali del
beato Pietro Bonilli, già ricomposte in un’urna di vetro,
vennero trasferite nella chiesa parrocchiale di Cannaiola.
Precedentemente erano conservate nella chiesa di San Filippo
a Spoleto, danneggiata, appunto, da quegli eventi. Oggi sono
visibili all’interno della cappella laterale sinistra,
sormontate da una vetrata artistica, realizzata nel 1999
dallo studio Moretti-Caselli di Perugia, la cui immagine
sintetizza in modo mirabile l’opera di carità più
significativa avviata in vita dal Sacerdote.
La chiesa di Cannaiola conserva importanti ricordi dei 34
anni che il beato Bonilli trascorse come parroco nel paese.
Tra questi citiamo un confessionale in noce da lui
utilizzato, un “Gesù Bambino” barocco in cera e un maestoso
gruppo statuario della santa Famiglia di Nazareth. Questo fu
fatto realizzare dal Bonilli a Lecce, nel 1889, nella
bottega di Pasquale Conte, secondo un’iconografia inedita,
suggerita dallo stesso e che rappresenta Gesù in età
adolescenziale. Il gruppo statuario si può oggi ammirare nel
presbiterio, all’interno di una mostra d’altare lignea
seicentesca, ulteriore testimonianza delle ricchezze
custodite nella nostra pianura, apparentemente così povera
di tesori d’arte. Opere che certamente meritano la visita
dell’ospite più attento, che ne saprà trarre non poche
soddisfazioni.

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Cannaiola
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