Il territorio abbracciato dalla Comunità Montana è costituito da dieci comuni, situati a ridosso delle dorsali montuose che chiudono Spoleto, con una configurazione fisica quasi a ferro di cavallo delimitante una parte significativa della valle umbra meridionale.
La Comunità Montana comprende i seguenti comuni: Acquasparta, Bevagna, Campello sul Clitunno, Castel Ritaldi, Giano dell'Umbria, Gualdo Cattaneo, Massa Martana, Montefalco, Spoleto e Trevi, con una superficie totale di mq. 91.775, di cui mq. 74.588 definiti montani, e una popolazione totale residente di 77.650, di cui 62.805 nell'area montana (Piano Programmatico Pluriennale dell'Ente, 2001-2005).
La sede amministrativa di questo comprensorio, vasto ma omogeneo per caratteristiche territoriali, culturali e di tradizioni, è sita nella città di Spoleto.
La Comunità Montana è un ente locale costituito con Legge Regionale n. 23, del 6 settembre 1972, e successive modificazioni, tra comuni montani e parzialmente montani allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane e l'esercizio associato delle funzioni comunali.
Le comunità montane sono altresì unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane, l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali (D.Lgs. n. 267/2000).
In particolare le Comunità montane devono:
· Rappresentare gli interessi dei cittadini delle montagne;
· Promuovere l'identità territoriale;
· Programmare lo sviluppo economico e sociale e dialogare con la Regione e le Province;
· Governare il territorio, conservandone suolo ed ambiente;
· Organizzare i servizi e le funzioni amministrative;
· Proporre e guidare gli interventi cofinanziati dall'Europa, stabilendo rapporti con le imprese, le organizzazioni e gli enti;
· Dare vita e partecipare a società di gestione di servizi o finalizzate allo sviluppo e all'assistenza alle imprese;
· Promuovere ed intervenire nei patti territoriali (da rapportare ai nostri piani di sviluppo) e nelle altre iniziative di concertazione;
· Sostenere lo sviluppo della cooperazione e della pluriattività delle imprese agricole e forestali;
· Porsi come motore del cambiamento.
Passando ad una breve descrizione del territorio annotiamo che ad oriente si erge la catena dei Monti Brunette-Serano-Maggiore, incisa da ampie vallate. Qui si raggiungono le quote più elevate del comprensorio, con il punto più alto di m 1429 s.l.m. corrispondente alla vetta del Monte Serano.
Ad occidente è presente la catena dei Monti Martani, che raggiunge quote massime di circa m 1000 s.l.m., con vette allineate in direzione nord-sud. Un sistema di piani carsici è presente intorno alla quota di circa m 900 s.l.m. A meridione, infine, ci sono i rilievi calcarei di Castagnacupa-Montebibico, che il Torrente Tessino divide dal gruppo, pure calcareo, di Monteluco-Monte Fionchi, morfologicamente caratterizzato da profonde valli incise da fossi e torrenti.
Il territorio risulta, pertanto, caratterizzato da tre fasce: una montana a calcari prevalenti (tra i quali citiamo i Monti Martani e la dorsale dei monti di Trevi e Campello), una collinare, ove prevalgono i depositi marnoso-arenacei e quelli fluvio-lacustri Plio-pleistocenici (come i colli su cui si ergono la città di Spoleto o quella di Montefalco), una terza di pianura, infine, ove si sono accumulati i depositi erosi alle montagne e rielaborati dai corsi d'acqua (la valle umbra meridionale).
Al passaggio tra la montagna e la pianura si ha una fascia pedemontana, caratterizzata dal detrito di falda. Questo deposito, di tipo sedimentario-gravitazionale, raggiunge in talune aree spessori molto elevati che testimoniano una forte azione di crioclastesi.
Questa, pur attiva anche al giorno d'oggi, deve essere stata particolarmente intensa in passato. Un esempio ci è rappresentato dalla zona pedemontana orientale, da Poreta a Trevi, ove prevale caratteristicamente la coltivazione dell'olivo, che ha in parte sostituito la vegetazione tipica della fascia fitoclimatica del Lauretum, il leccio in primo luogo.
Morfologicamente annotiamo che sulle strutture calcaree s'impostano le depressioni tipiche dei fenomeni carsici, come le doline di Catinelli (nel territorio comunale di Spoleto), di Monte Brunette (Trevi), o ancora il Tifene e il Pozzale (sui Monti Martani), oppure i piani carsici di Casetta San Severo e Montebibico (nel comune di Spoleto), di Rio Secco (nel territorio comunale di Trevi), o di Pettino (nel comune di Campello sul Clitunno). Sulle fasce marnose prevalgono le strutture calanchive come a Fogliano, Macerino, Meggiano e San Felice di Giano.
In generale, nei tempi passati la porzione collinare e montana del comprensorio doveva esser completamente coperta da boschi. Il limite vegetazionale di quest'area si può ritenere, infatti, attestato intorno a 1800 m s.l.m. L'utilizzo intenso della risorsa vegetale rappresentata dal legname, la necessità di ampliare le zone di pascolo per favorire lo sviluppo di un'economia montana basata sull'allevamento, ed altro ancora, ha portato l'uomo a tagliare le foreste sommitali, modificando progressivamente il paesaggio sino a depredarlo completamente dei boschi d'altitudine. In queste fasce altimetricamente più elevate, l'assenza della vegetazione e, quindi, la conseguente mancanza di protezione che questa esercita anche sul substrato pedogenetico, ha permesso un'intensa azione da parte degli agenti esogeni e ha favorito la progressiva asportazione del suolo anche per l'effetto dell'azione dilavante delle acque meteoriche. Si spiega così la tendenza al generale inaridimento dei pascoli montani di altitudine e l'affioramento del substrato roccioso, che, insieme alle condizioni climatiche e ad altri fattori limitanti, rende, purtroppo, improbabile ogni azione di recupero di certe zone da parte della vegetazione arborea.
La storia della città di Spoleto e di tutta la Valle Umbra è stata caratterizzata per circa cento anni dal lavoro delle miniere, con vari cantieri per l'estrazione della lignite presenti un po' ovunque, in tutto il territorio regionale umbro, come a Spoleto, Gubbio (Branca), Cottanello, Aspra, Terni (Colle dell'Oro), Torgiano, Tavernelle e Pietrafitta, Fontivecchie, Collazzone, Dunarobba, Massa Martana e Collesecco. L'area mineraria più importante del comprensorio è stata senz'altro quella di Morgnano (Spoleto), con i cantieri Orlando, S.Croce, S.Silvestro, S.Angelo, Uncinano.
Numerosi pozzi di estrazione giungevano fino quasi a 400 metri di profondità, con centinaia di chilometri di gallerie che si intersecavano da S.Angelo in Mercole fino a Maiano; una teleferica portava il minerale dai cantieri di Bastardo fino a Morgnano, ove una ferrovia mineraria serviva tutta l'area di coltivazione, connettendola alla rete ferroviaria statale.
Nell'area di Morgnano, in corrispondenza del cantiere centrale, si sviluppò praticamente una cittadina, con numerosi impianti (tramogge, essiccatoi, cava di argilla, fornace per mattoni, officina elettrica, infermeria, mensa, ecc), di cui oggi restano ancora alcune testimonianze, progressivamente erose dal tempo e dall'oblio.
Quella delle miniere, per Spoleto e per il territorio della valle umbra meridionale, fu una vera epopea operaia e contadina che vide protagonista gran parte della popolazione, anche se con ruoli diversi.
Le testimonianze giunte a noi mostrano immagini che sembrano tratte da un libro di avventure, con eroi, comparse e caratteristi che ci narrano una storia durata cento anni.
È stata una vicenda forte, che ha contribuito allo sviluppo economico del comprensorio e dato lavoro a numerose famiglie, non poche delle quali hanno dovuto pagare un contributo di vite umane, rimasto nella memoria collettiva.
Basti ricordare la tremenda esplosione, avvenuta il 22 marzo del 1955, che costò la vita a ventitrè minatori. Fu il grisou a provocarla, nel cantiere Orlando centrale, alle cinque e quaranta del mattino, a pochi minuti dalla fine del terzo turno di notte.
A partire dal 1950, mentre la Terni, azienda a partecipazione statale, proprietaria delle miniere, cominciava lo stillicidio dei licenziamenti a Spoleto e chiudeva le miniere al Bastardo, i minatori, le loro organizzazioni e gli Enti locali diedero il via a una fittissima rete di iniziative per salvare l'industria mineraria umbra, ma nell'ottobre del 1961, a cento anni circa dall'avvio dell'attività, fu scritta praticamente la parola “fine” sulla lunga storia delle miniere del nostro territorio con la chiusura di quelle di Morgnano.
Per ricordare questo passato così importante da un punto di vista sociale e culturale non solo per il nostro comprensorio ma per buona parte della regione umbra, a Spoleto, su iniziativa di questa Comunità Montana, del Comune di Spoleto, della Provincia di Perugia e soprattutto di numerosi cittadini, spesso con un passato familiare direttamente interessato dalle vicende delle miniere del comprensorio, è sorta l'Associazione Amici delle Miniere. Questa ha sede presso il nostro Ente, in via dei Filosofi, 89, a Spoleto. L'attività dell'Associazione interessa e coinvolge anche altri comuni del comprensorio “Monti Martani e Serano”, tra i quali ricordiamo i comuni di Massa Martana, Giano dell'Umbria, Gualdo Cattaneo e Castel Ritaldi, che hanno aderito con entusiasmo a questa importante iniziativa.
L'Associazione Amici delle Miniere ha il compito di “... perseguire azioni fattive per il recupero della memoria storica dell'attività mineraria, di quanto le miniere hanno rappresentato per le passate generazioni delle popolazioni di buona parte del territorio regionale, sia da un punto di vista culturale, sia sociale ed economico...”, come puntualmente citato all'art. 4 dello Statuto costitutivo.
Altro elemento di grande interesse geologico e naturalistico presente nel nostro territorio è il centro igneo di Colle Fabbri, conosciuto nel mondo scientifico a livello mondiale e, purtroppo, misconosciuto localmente.
Per quasi un secolo, si è considerato che in Umbria vi fosse un unico centro igneo, quello di San Venanzo.
Solo negli ultimi anni si è invece potuto appurare che questo centro è solo una delle varie manifestazioni ignee presenti in Umbria, relative ad una fase magmatica che si è avuta circa 250.000 anni or sono, manifestazioni, geologicamente giovani, che fanno parte del “Distretto ultra-alcalino Umbro-Laziale” (ULUD), che trova la sua prosecuzione in alcuni affioramenti abruzzesi.
Il magmatismo umbro ha, nel suo complesso, volumetrie ed estensioni sicuramente insignificanti se rapportate a quelle d'altri distretti italiani, pur tuttavia la rarità delle rocce presenti lo rende da un punto di vista scientifico d'incomparabile importanza nel mondo intero.
In particolare, la nostra attenzione si appunta sul centro igneo di Colle Fabbri, presso Spoleto. In questa zona nel 1985 degli studi hanno consentito di individuare un affioramento vulcanico che può aspirare a diventare un monumento vulcanico d'interesse nazionale ed internazionale. Gli studi, condotti dal Prof. Francesco Stoppa, ora docente dell'Università degli Studi "G. D'Annunzio di Chieti", indicano chiaramente l'eccezionalità degli affioramenti presenti a Colle Fabbri e la loro unicità scientifica.
Il sito si colloca lungo un percorso geologico regionale che passando attraverso le dorsali del Monte Peglia e dei Monti Martani, separate dalla depressione tettonica (graben) della Valle del Tevere, tocca i principali affioramenti vulcanici umbri.
Per quanto riguarda il paesaggio dell'area di Colle Fabbri, possiamo rilevare che si presenta vivacemente scolpito e ancora in veloce evoluzione. Il centro igneo è un edificio vulcanico a forma di bastione. All'interno vi è presente un corpo subvulcanico costituito di “euremite”. Il termine deriva dal greco “eurema” e significa “cosa trovata inaspettatamente”. L'euremite è composta principalmente da silicati cafemici come melilite, wollastonite e granato, il suo nome scientifico corretto è “leucite-wollastonite-melilitolite”: si tratta di una roccia molto rara. La breccia di esplosione che affiora intorno all'euremite costituisce una sorta di bastione: una struttura riferibile ad esplosioni freatiche in cui, in pratica, il magma, caratterizzato da altissima temperatura, ha interagito con una falda acquifera. Da una prima esplosione ha tratto origine la breccia inferiore e si è formato un primo cratere, da una successiva si è originato un secondo cratere con la formazione di una breccia di travertino, depostasi sui depositi della prima esplosione. Quasi contemporaneamente si è avuta una fase effusiva, cessata la quale, l'euremite ha riempito il condotto eruttivo, inarcando la breccia di travertino. è quindi seguita la fase idrotermale, che ha chiuso l'attività vulcanica: durante questa si è avuta la cristallizzazione delle zeoliti e dei cementi carbonatici. È interessante notare l'azione del corpo subvulcanico intrusivo, caldissimo, sulle rocce circostanti che, per contatto, si sono “cotte”, assumendo una caratteristica colorazione rossastra. Intorno all'intrusione la breccia è vivacemente colorata per i minerali contenuti, di notevole importanza mineralogica: tra questi ricordiamo, in particolare, oltre alla già citata wollastonite, anche le zeoliti. L'insieme di tutte le particolarità presenti impartisce all'ambiente locale i caratteri di una zona di transizione tra un'area pedemontana ed una di pianura. Le rocce vulcaniche presenti, vista la limitata estensione, non determinano un'impronta sostanziale al paesaggio, tranne che per la presenza di suoli rossi e molto localmente di una tipica morfologia a “dorso d'elefante”, dovuta alla minore erodibilità delle rocce vulcaniche rispetto a quelle sedimentarie circostanti.
Proseguendo nel nostro viaggio vulcanologico-naturalistico annotiamo ancora che tra Massa Martana ed Acquasparta, la fascia pedemontana ad occidente dei Monti Martani presenta estesi depositi piroclastici. Queste vulcaniti formano un corpo pianeggiante che si allunga per una decina di chilometri lungo la faglia diretta che borda ad occidente i Monti Martani. Lungo tale fascia sono stati identificati tre centri eruttivi monogenici principali, tre piccoli coni (ciascuno dei quali si è formato a seguito di un solo evento eruttivo che non si è mai più ripetuto nel medesimo luogo) dai quali i prodotti sono stati eruttati in superficie: Torre Lorenzetta, Colpetrazzo e Colle Pulcino. La composizione delle piroclastiti è fonolitica, quindi più ricca in SiO2. Anche in questo caso si tratta di un'area sismicamente attiva, come dimostrato dagli eventi sismici che si sono verificati nella zona di Massa Martana nell'anno 1997.
Per chi volesse approfondire la conoscenza del paesaggio geologico del nostro territorio, consigliamo il volume prodotto dalla Comunità Montana:
AA.VV., La poesia del divenire - il paesaggio geologico dell'Umbria meridionale, Stoppa F. (a cura di), Bardi Editore, 2004, Roma.