Nome botanico della specie: Olea europaea L.
Circonferenza tronco: 7,4 m
Altezza pianta: 5,2 m
Ampiezza chioma: 7,4-8,3 m – secondo la potatura stagionale
Età: 886±57 anni – età calcolata della pianta 235±15 anni – età del legno ricavata con il metodo al radiocarbonio 14C [G. Pannelli et alii 2009]
Stato di salute (a vista): discreto
Codice piante elenco regionale: 36
Altitudine (m s.l.m.): 403
Bibliografia: G. Pannelli et alii 2009; G. Pannelli 2011
Rilevatore/autore della scheda: Felice Santini
L’olivo di Casariccio (conosciuto in modo errato come olivo di Macciano) vegeta nei pressi dell’omonimo insediamento rurale (antica abitazione di Riccio di Rapino), ai limiti settentrionali della SC 6, in prossimità dell’attuale vocabolo Bivio Macciano. È un maestoso esemplare con tronco massiccio, parzialmente contorto, sostanzialmente circolare, diviso in 4 rami, appartenente alla varietà ‘Raja’. Dopo quello celebre di Sant’Emiliano (Trevi), è ritenuto il secondo olivo più vetusto dell’Umbria.
Circondato inizialmente con pietre alla base del tronco, è stato successivamente protetto con una staccionata (2002); è indicato ai turisti mediante apposito segnale, ubicato al margine della strada limitrofa.Vi si accede mediante un vialetto limitato da pietre.
Causa la galaverna del 1956, l’olivo di Casariccio perse tutto il fogliame, non emettendo nella successiva primavera alcun germoglio. Ritenuto ‘albero secco’, come altri circostanti, si pensò di abbatterlo mediante scure; fortunatamente una più attenta e ponderata meditazione del proprietario procrastinò l’evento: fu la salvezza dell’albero in quanto nella primavera del 1958 tornò a germogliare e a ricomporre la sua fronzuta chioma. Fino a circa l’anno 1954, dall’olivo di Casariccio, alla fine della raccolta delle olive si recideva un ramo per comporre la ‘frasca’ per la festa della ‘bonfinita’: il ramo veniva ornato con fiocchi e doni (in maggioranza dolci e frutta) da offrire al caposcala e al proprietario dell’olivo. I raccoglitori in corteo, accompagnati dal suono di una fisarmonica, cantando stornelli contadineschi, si recavano alla casa del fattore o del proprietario della pianta per festeggiare l’avvenimento con ‘balli e stornellate’; in seguito, nell’aia si consumavano i piatti tipici della cucina contadina che le donne preparavano con cura. Raccontavano gli anziani che «l’olivo, poco dopo la Prima guerra mondiale, fu aggredito dalla rogna, un competente potatore asportò tutti gli ingrossamenti (datteri) esistenti sui rami salvando così il millenario esemplare».
A causa di una delle tante credenze popolari umbre, specialmente dell’area spoletina, lo stupendo olivo di Casariccio è stato per alcuni decenni (principalmente 1920- 1950) guardato con timore da coloro che di notte transitavano per la vicina strada. Nel tronco cavernoso, infatti, si celava la ‘paura’: personaggio dai lineamenti e dalle movenze diavoleschi, vestito di bianco che compare improvvisamente di notte incutendo terrore ai passanti.
Fortunatamente l’evoluzione culturale ha calato un significativo sipario su questa credenza popolare; oggi l’olivo è ammirato da tutti, specialmente dai turisti.