Nome botanico della specie: Quercus ilex L.
Nome popolare con cui l’albero è conosciuto localmente: ‘erge’ di San Felice
Circonferenza tronco: 4,8 m
Altezza pianta: 13,0 m – il leccio di San Felice fino al 1950 innalzava la maestosa chioma ben oltre il complesso abbaziale; è stato, quindi, colpito da un fulmine che ha provocato il disseccamento della parte superiore, riducendo l’albero alle dimensioni attuali
Ampiezza chioma: 12,0 m
Età: 800 anni circa (stimata)
Stato di salute (a vista): precario – le due profonde cavità provocate da parassiti e funghi poco sopra il colletto, occluse con malta cementizia, e la forte inclinazione del fusto hanno messo l’albero in serio pericolo di caduta; per evitare tale possibile evento nel 1985 è stato costruito uno sperone di sostegno in pietra rosata di San Terenziano
Codice piante elenco regionale: 35
Altitudine (m s.l.m.): 438
Rilevatore/autore della scheda: Felice Santini
La Passio di san Felice, vescovo e martire, riportata nel Codice di Farfa (IX-X secolo) racconta che durante la persecuzione dei cristiani, sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano, il presule vescovo della Città Martana fu condannato a morte dal prefetto Tarquinio. Felice, dopo aver superato indenne la pena della graticola ardente, fu decapitato da un carnefice di nome Sevibo: ciò accadde il 30 ottobre dell’anno 303 o 304 [in relazione a questi anni si rimanda anche alla scheda sull’olivo di Sant’Emiliano (Bovara, comune di Trevi)]. I cristiani, di notte, trasferirono il corpo esanime del martire a Castricianum (Castrum Jani – Giano) ove lo seppellirono onorevolmente «ivi sepelierunt onorifice». Nel chiostro dell’abbazia dedicata al santo sono raffigurate le scene della passione (opera di fra’ Giuseppe Maria Franciosi d’Antrodacqua, 1691). Nella rappresentazione della prima lunetta della parete sud, denominata Inginocchiatura de’ tori, si vede il carro su cui è collocata la bara del santo con i buoi che s’inginocchiano alla vista del luogo di sepoltura. La tradizione popolare vuole che il proprietario del carro piantò in terra lo scudiscio ligneo con cui aveva governato gli animali, il quale, miracolosamente, germogliò creando il ceppo originario da cui successivamente si sviluppò l’attuale leccio; quindi, da una delle bacche interrate è nato il leccio che lo affianca. Il vetusto esemplare è conosciuto anche come ‘leccio dei pavoni’, per essere stato nei tempi passati l’habitat preferito di questi uccelli di proprietà dell’ex Azienda agraria di San Felice. Annotiamo, infine, che la pianta attuale è un pollone di quella originaria.