Foligno: Storia e storie del parco dei Canapè

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Foligno possiede un bellissimo parco pubblico, denominato dei Canapè, dove bambini vocianti, adolescenti innamorati, adulti in tuta ginnica a passo di corsa oppure a passeggio o seduti sulle panchine, trascorrono, o vi hanno trascorso, buona parte del loro tempo, il tempo dello stare all’aperto. Ogni abitante di Foligno ha un suo personale ricordo o visione del parco dei Canapè; potrei dire ogni nativo folignate, ma ora i bambini vocianti parlano idiomi diversi e si mescolano con gli altri bambini come in innumerevoli e cangianti pagine pubblicitarie del marchio Benetton, alcune mamme indossano lunghe palandrane, alcuni anziani fanno la ronda a robuste ‘badanti’ dell’Est europeo (il giovedì): ma gli studenti che fanno ‘salina’, o che, finito il mattutino impegno scolastico, prolungano i loro incontri amorosi con la ‘pischella’ o il ‘pischello’ di turno non cambiano mai: una garanzia, una rassicurazione per il futuro dell’umanità.

Foligno ha un originario retaggio di verde, dentro e fuori le mura, ormai striminzite porzioni rispetto all’opulenta estensione di un tempo: fondi coltivati per l’approvvigionamento alimentare dei cittadini e dei conventuali, giardini privati, gli antichi ‘orti’, sussistenti qua e là con la nomea tradizionale dei nobili casati d’appartenenza, come gli Orti Jacobilli, ma che di vegetazione hanno poco o niente, benché i buoni propositi di un ripristino arboreo non manchino, addirittura ripetendo le essenze vegetative lì presenti nel Settecento, o come gli Orti Orfini, che invece costituiscono un’ulteriore quota di verde cittadino, distinti da un’immagine erudita, grazie al Caffè-letterario, ubicato al suo interno e gestito in modo raffinato dalla Cooperativa Filottete di Foligno, o ancora il Giardino di palazzo Pierantoni, attuale Ostello della gioventù; orti segreti si conservano tra le mura dei monasteri di Santa Lucia, di Sant’Anna: monumentali alberi secolari, i patriarchi, si nascondono in qualche angolo recondito della città, ignorati per puro caso dalla voracità edilizia.

Invece lo spazio verde dei Canapè ha un’altra storia, una storia pubblica fin dai primordi, ancorché originariamente, nel Medioevo, si dicesse di appartenenza a Francalancia, figlio del più noto conte Robbacastelli, e per secoli, almeno fino a buona parte del secolo XVIII, così fu indicato, come il Campo di Francalancia.

Il parco dei Canapè si stende a sud della città, in una zona che intercorre tra Porta Romana e Porta Todi, con la cinta muraria che si appoggia su via Nazario Sauro. Il giardino confina con via Santa Caterina, la quale ha inizio da piazza San Domenico, e procedendo verso il parco, si incrocia con il bel viale alberato Luigi Chiavellati, al punto di incrocio, un elegante palazzo Liberty sovrasta i due cancelli d’ingresso ai Canapè, in asse e a fronte con questo edificio c’è un’esedra arricchita da una piccola fontana.

Se giriamo lo sguardo oltre la cinta delle mura medievali dove il giardino si addossa, notiamo che a sud-est si innalzano i monti di Trevi (le Brunette) e, in senso orario, tra palazzi troppo alti, si intravedono i monti di Spoleto (Monteluco), le colline di Montefalco, i monti Martani. Il sito, nella memoria cittadina, è sempre stato considerato un luogo aperto alla cittadinanza e riservato allo svago e al divertimento dei Folignati, benché fosche rievocazioni di duelli, supplizi e sepolture turbino le magnifiche ombre dei pini fascisti che si innalzano verso il cielo infinito.

Degli svaghi e dei supplizi ci offre testimonianza la pubblicazione di Angelo Messini, sacerdote entusiasta del rinnovamento urbico dovuto al primo podestà fascista nella storia di Foligno: Romolo Raschi.

L’esplicativo titolo del paragrafo: Storia di una passeggiata che va trasformandosi in pubblico giardino, tratto da I Canapè.

Ricreazioni storico-sportive, così recita: «Dopo la demolizione del pubblico giardino [dove è l’attuale stadio ‘Giusti-Formica’] per dar luogo al monumentale stadio Dandolo Gramellini, i Canapè furono destinati a sostituire la funzione di quello. […] Sappiamo che c’è un vasto ed organico programma che andrà via via attuandosi e che farà dei Canapè uno dei più leggiadri, accoglienti, confortevoli giardini della regione. Alla bella scalea costruita qualche anno fa che dal viale Nazario Sauro ha aperto un comodissimo accesso alla passeggiata, alla piantagione di ben 308 vigorosi pini e di altri alberi, alle opere di accurato giardinaggio, alla costruzione di eleganti sedili in pietra, ecc., si sono aggiunti quest’anno [1939] l’impianto razionale e modernissimo dell’illuminazione a luce elettrica, veramente sfarzosa, e la ricostruzione, nel centro del giardino, della fontana che qui ha trovato finalmente la sua gorgogliante idillica pace. […] opere che testimoniano la solerzia e la cura del signor Podestà per il benessere dei cittadini».

La fontana, opera di Nicola Brunelli (1933), fu installata ai Canapè nel 1935; in un primo momento era stata collocata in piazza della Repubblica, la piazza principale della città, il cuore nobile di Foligno, ma fu trasferita ai Canapè perché, essendo la piazza troppo ventosa, i passanti erano regolarmente ‘innaffiati’.

A tal proposito mi piace riportare sull’argomento l’opinione popolare coeva (1936), con la voce di Ruggero Cantoni, grazie a una sua poesia in dialetto folignate Fonte sghizzona di Foligno (sul motivo di fontana muta):

«Fonte superba che sghizzavi in piazza / t’ho visto l’altro giorno immezzo all’erba / te se’ ridotta peggio de na serva / ma che se’ orba? / Parla, fontana, parla! / Dimme chi t’ha ridotta li na stalla! / Se li scoprimo la dovrà pagarla! / Fontana parla! / Vasca de piazza, / fonte de commenti. / Sapessi quanti strilli e quanti pianti / hai fatto fa’ da tutti l’abitanti / de lì davanti! / C’è specie Bazzi / che l’hai ridotto lì pieno de sghizzi / e jai bagnato ngò li maritozzi! / Ma non t’ammazzi / Fonte buffona / vasca, ossia, piscina / se’ chjacchjerata più d’una sgualtrina / nessuno più te guarda o s’avvicina! / Fonte buffona […]».

Ora la fontana marmorea abbellisce il parco, ma chissà se la scelta di ubicarla al livello più basso del terreno, concavo rispetto al piano ellittico che contraddistingue il nostro giardino, fu causata dall’opportunità di ripararla dalle correnti d’aria, foriere di ‘sghizzi’ ai passanti. Molto interessante, stando ai versi di Cantoni, che la vasca rimase asciutta e che fu umiliata da un’iniziale situazione di degrado ambientale.

Ma perché la superficie dell’area presenta una parte interna più bassa del perimetro esterno? E quale è il motivo per cui il giardino ha una strana forma ellittica e i vialetti si intersecano a forma di otto? E perché il parco era precedentemente detto campo di Francalancia? Storia e storie si intersecano tra di loro, ma non con la linearità dei vialetti, poiché per il lontano passato medievale dobbiamo avvalerci della testimonianza di Durante Dorio, il quale per scrivere la sua Istoria della famiglia Trinci (1628), elaborata tra il XVI e il XVII secolo, ha instancabilmente consultato archivi e documenti, per noi purtroppo e per la maggior parte persi. La tradizione vuole che in quegli spazi, nomati così fin dal Medioevo, si siano svolti i duelli e i giudizi di Dio; il proprietario sarebbe stato il figlio del conte Robbacastelli di Mainardo di Vicco; sembra che Robbacastelli sia stato dall’imperatore Federico Barbarossa di Svevia (1123-1190) nominato nel 1155 suo capitano, ma che, appena tre anni dopo, si sia ribellato allo stesso imperatore, combattendolo a Milano, in qualità di generale scelto dai Milanesi: così secondo Dorio.Tuttavia ne ho scritto recentemente in occasione dei Centocinquanta anni dall’Unità d’Italia, sottolineando i limiti di tale tesi: l’occasione esterna un affresco di Mariano Piervittori (1816-1888) che figura su una parete della Sala del Consiglio comunale di Foligno e che rappresenta un pugnace, ideale Robbacastelli. Dorio elenca i nomi dei figli del conte folignate: «Robba Castelli generò Savello, Berarduccio, Gualtiero, Gentile, e Fierdilancia, cognominato Francalancia; il quale haveva campo appresso la Chiesa di S. Maria infra Portas di Foligno, ove si andava a combatter a duello, che fino al presente si dice il campo di Francalancia; haveva anche un Monte sopra la Terra di Visse, che si dice fin’hora di Francalancia». Se vogliamo dare credito alla tradizione, ovvero che in questa area si svolgessero le ordalie secondo l’uso longobardo, mi chiedo se proprio dall’uso di ‘libera lancia’, ovvero dei liberi duelli longobardi (il termine franco, nel significato di uomo libero, ma libero perché appartenente alle tribù germaniche, è attestato, parimenti per il termine lancia, nei documenti antichi fin dal XIII secolo), non sia nata la leggenda di Fierdilancia, altro appellativo adatto a quelle sommarie azioni di giustizia privatistica. La tradizione insiste pure sul fatto che quello spazio, esterno alle mura castellane, sconsacrato, fosse luogo di sepoltura per gli ebrei, ed ancora che lì avvenissero le pene capitali. Ma quale era il campo di Francalancia? al di sotto delle mura? dove ora esiste, lungo via Nazario Sauro, un parcheggio per le automobili e che diventa luogo di mercato nelle giornate di martedì e sabato? oppure comprendeva quel terreno, al di qua delle mura, dove nel corso dei secoli sono stati accumulati i detriti della città in demolizione-costruzione, lasciando al livello più basso il centro dell’odierno giardino, in quella strana forma ellittica che ha poi dato il via quasi ‘naturalmente’ alle corse dei cavalli con fantino? Questione non risolta. Angelo Messini scrive che, rispetto al parco, il campo si trovava all’incirca 7 m più in basso; Fabio Bettoni e Bruno Marinelli ritengono che esso corrisponda allo spazio del futuro giardino:

«Originariamente al medesimo livello del terreno rimasto fuori della cinta muraria edificata nel 1291, il campo di Francalancia si eleva progressivamente, sembra a partire dal XVI secolo, con l’accumulo di materiali di scarico provenienti in parte dalle demolizioni urbane, che depositati lungo il perimetro, finiscono per formare un anello ellittico intorno a un’area centrale infossata».

Di questa area avvallata Messini asserisce di conservare memoria e di ricordare il suo riempimento. Foligno, purtroppo, nel corso dei secoli ha subìto guerre, incendi, terremoti, distruzioni, ricostruzioni e il campo di Francalancia, a ridosso del centro urbano, è sembrato ai nostri antenati il luogo più idoneo e prossimo perché lì si ammucchiassero detriti e macerie tanto da far crescere in modo consistente e per diversi metri il livello del terreno: un’enorme discarica dove si potrebbero ritrovare interessanti frammenti della società folignate del passato, comprese, forse, lapidi spezzate del periodo della Foligno romana, stimate allora inutili o brutte, mentre per noi oggi sarebbero del più grande interesse perché potrebbero presentare iscrizioni rarissime: pensiamo alle lapidi, uniche, che hanno incisi i nomi di Fulginia e Supunna, quasi sicuramente divinità topiche della città arcaica.

Il parco dei Canapè, costituito ufficialmente negli anni Trenta del Novecento, a differenza di molti altri splendidi giardini italiani, nati come residui di confische patrimoniali di ville patrizie, ha dunque avuto una secolare gestazione, sempre come luogo pubblico all’aperto per la cittadinanza folignate, ma con un giro di volta nel XVIII secolo. La coeva longa manus del ceto nobiliare e ricco è, a distanza di secoli, ben visibile nei numeri romani, in origine dall’uno all’ottanta, scalfiti sugli schienali dei sedili chiamati ‘canapè’. Questo termine ‘esotico’ caratterizza la denominazione del giardino, un preziosismo francese, da canapés, la lingua in voga nel Settecento, periodo (siamo nell’ultimo quarto del secolo) in cui allo spazio fu dato l’assetto definitivo, conformato dalle linee ellittiche; il nome canapé sta a indicare una tipologia di sedile, a più posti, con braccioli, spalliera, imbottiture; nei fatti è una panchina costruita con dei mattoncini in cotto e strutturata a formare una concava arcata, sì da permettere, rispetto a uno spazio dalla sporgenza rettilinea, una maggiore capienza di posti, dato che dei sedili erano proprietari le famiglie facoltose e i rioni di Foligno: sulle panchine si distribuivano gli spettatori dei giochi, sovente equestri, che nel parco si svolgevano.

Più che un atto di prevaricazione dei ceti abbienti nei confronti del popolino, la proprietà dei posti segnala per i tempi un’azione lungimirante e, data l’oggettiva scarsezza dei mezzi pecuniari del Comune, direi, meritoria: le mura avevano urgente bisogno di restauro e consolidamento, vengono restaurate grazie agli emolumenti versati dalle famiglie e dalle associazioni rionali che in tal modo diventano proprietarie dei sedili in mattonato, una sorta di decorativo e solido festone della vetusta muraglia, dove ancora, tra i pietrosi interstizi, si propendono all’esterno, esposti a mezzogiorno, cespugli di capperi.

Quando in Consiglio Comunale si decise di rinforzare le mura in decadimento, creando nel contempo spazi regolati e organizzati fisicamente e giuridicamente, i nomi dei nobili e dei possidenti folignati si ripetevano finanche nei rami collaterali: pagarono il restauro, fecero costruire gli ampi sedili in laterizio, panchine che trasformeranno definitivamente il nome del luogo: da Campo di Francalancia a parco dei Canapè.

Siamo negli anni ’70 del Settecento e la vivacità culturale, archeologica della Foligno-bene si esprimeva altresì attraverso le tornate accademiche, in prosa o in versi, delle sue Accademie più prestigiose, la Fulginia e la colonia d’Arcadia Fulginia, la Repubblica letteraria degli Umbri, fondata questa dal marchese Alessandro Barnabò (Teseo Celenderio, lo pseudonimo arcadico, vice custode della Colonia Fulginia), personaggio eminentissimo in Foligno e non solo, nome che ritorna sia nel possesso dei sedili numerati, sia in uno scritto inneggiante all’ingresso in Foligno, nell’aprile del 1778, del novello vescovo, il patrizio ravennate Gaetano Ginanni; i festeggiamenti per il presule, non solo spirituali, si svolsero ai Canapè, con una memorabile corsa equestre con fantino: e non saranno certo gli unici festeggiamenti negli anni a venire.

Nel XVIII secolo Foligno è segnata da uno specifico dinamismo negli interventi architettonici e urbani, soprattutto da una qualità diversa nelle iniziative, dovute alla committenza privata e a una borghesia culturalmente più attenta e ricettiva verso le novità esterne; numerose residenze private, esistendo la possibilità di un investimento, furono ristrutturate o ricostruite e, unendo proprietà precedentemente frazionate, furono eretti palazzetti signorili, appartenenti a quelle famiglie che possedevano proprietà terriere con un ruolo attivo nella vita pubblica comunale.

È in questo contesto che, grazie al loro dinamismo, si realizza il parco dei Canapè, sulla scia delle sistemazioni dei luoghi di passeggiata e di svago diffuse contemporaneamente in molteplici città, e con esso il rifacimento delle mura. La decisione ufficiale del restauro della cinta muraria risale al 14 settembre 1776, quando in Consiglio Comunale si fa presente che per ripristinare le mura castellane occorrerebbero non meno di mille scudi, spesa per le casse comunali insostenibile, ma che si può procedere al loro riattamento con una sovvenzione di privati cittadini purché ad ognuno di loro vengano assegnati quindici piedi di muraglia, così da costruirvi un sedile, onde poter meglio assistere alle corse dei cavalli che lì sistematicamente si svolgevano. Sottolinea in modo perspicace Bruno Marinelli che, nella stessa seduta del 14 settembre del 1776, al punto 4 dell’ordine del giorno, viene illustrata pure una particolareggiata proposta per la ricomposizione degli antichi rioni e della annuale estrazione degli Officiali che ai rioni presiedono. Proponendo di ristabilire i confini rionali, si vuole ridurre a dodici (dai tradizionali diciassette) il numero dei rioni, rinominandoli con gli antichi appellativi: Abbadia, Ammanniti, Contrastanga, Croce, Feldenghi, Franceschi, Goti, Mora, Piazza Vecchia, Poelle, Spada e Spavagli, i cinque esclusi inglobati nei rioni contigui: Borgo in Piazza Vecchia, Campi e Cipischi in Spavagli, Falconi in Feldenghi, Menacoda in Goti. La proposta viene accettata e il Consiglio dà mandato al magistrato dei Sei Priori e ai Consiglieri costituenti la prefettura del numero dei Nove di eseguire quanto stabilito. In concomitanza il Consiglio Generale, su proposta dei membri della ‘Prefettura dello Sgravio’, si occupa dell’altra questione, apparentemente del tutto indipendente da quella del ripristino dei rioni: il riattamento delle mura cittadine nel tratto compreso da Porta Santa Maria e la Torre del Seminario.

L’abate Gian Francesco Roncalli (Scribonio Sellineo, in Arcadia), consigliere comunale, plaude all’iniziativa sia dal punto di vista economico per la città, sia dal punto di vista ludico per l’intera cittadinanza; infatti: «per ivi fermarsi con maggior comodo, per osservare la corsa e il passeggio che nello stradone che [i sedili] circondano sogliono farsi.

Stradone che essendo ampio e spazioso si renderà con ciò più delizioso e godibile»; vengono nominati in qualità di sopraintendenti Curzio degli Onofri e Francesco Giusti. Dal libro di memorie di casa Gigli si evince che nel 1777 i sedili erano già stati costruiti e numerati, poiché l’estensore scrive:

«[…] la nostra casa Gigli ne fece uno e vi spese scudi 10.50, e sta detto sedile spettante a Gigli poco lontano dal Seminario, al numero 73, essendo detti canapè tutti numerati fino al numero di ottanta». Quindi non solo parteciparono all’impresa i cittadini facoltosi di Foligno, ma come già potevamo supporre dalle decisioni adottate nella seduta comunale del 14 settembre 1776, furono attori pure i singoli rioni, e qui si spiega il loro ripristino in contemporanea al ripristino delle mura castellane: i numeri dal quattro al quindici (a partire dal versante dell’attuale Porta Todi) erano riservati nell’ordine ai rioni Spada, Pugilli, Piazza Vecchia, Goti, Franceschi, Faldenghi, Croce, Contrastanga, Campi e Sparagli, Ammanniti, Abbadia. Dal sedicesimo sedile al settantottesimo, proprietario di quest’ultimo Alessandro Barnabò, le assegnazioni erano per i privati finanziatori; il settantanovesimo sedile era per i Deputati della ripresa, l’ottantesimo (verso viale Chiavellati) per i familiari della Comunità e, tornando agli iniziali tre, il primo sedile era per i Deputati della Mossa (ovvero per coloro che davano il via alla corsa dei cavalli), il secondo per il marchese Antonio Barnabò, il terzo per il marchese Troiano Vitelleschi.

Un’antica passione per le gare equestri ha sempre animato i Folignati, di ogni grado sociale, e questa vocazione è ben

presente ai giorni nostri con la Giostra della Quintana che si ispira a un testo del 1613 di Ettore Tesorieri; ma la tradizione è molto più remota, spesso non testimoniata da scritture coeve; altresì risulta documentata (Bernardo de Albriciis, 1448) la corsa dei cavalli, detti berberi, che, partendo da Sant’Eraclio, attraversavano a galoppo sfrenato la strada della Fiera, attuale corso Cavour, fino ad arrivare a piazza Grande, ora della Repubblica; qui, ai piedi della facciata secondaria della cattedrale, consacrata a san Feliciano, era posta la meta.

Questa carriera apparteneva al ciclo di feste annuali per la festa del santo patrono, esclusiva fino al 1776, anno in cui – come abbiamo evidenziato – i Canapè, ormai ristrutturati, rivestono un ruolo più idoneo per le competizioni equestri. Da allora nel parco, durante l’estate, a volte fino all’inizio della stagione autunnale, si snodava una serie di feste civiche: dapprima nel 1777 in un’unica occasione, in seguito a partire dal 1823, in molteplici occasioni, mediante l’offerta di giornate ricreative dette ‘Divertimenti’, caratterizzate da corse di cavalli con fantino, che si svolgevano insieme a giochi pirotecnici, feste con palloni aerostatici, allietate da musiche, tombole, spettacoli teatrali e funambolici.Tali eventi testimoniano la particolare attrazione e attenzione dei Folignati, sia privati cittadini che pubblici ufficiali, per questo spazio aperto alla cittadinanza.

I Deputati ai Canapè ottengono dal 1790 che ci sia un regolare finanziamento di quaranta paoli ad ogni bimestre per le spese correnti, nonché per rifornire di un appropriato vestiario gli aiutanti dei diversi rioni nelle corse equestri; inoltre si decide per il rafforzamento della torre Montanara destinata a riparo per il custode e per i Magistrati in occasione degli spettacoli pubblici.

Una storia a sé si svolge per la torre chiamata (ma non conosciamo il motivo dell’origine del nome) Montanara; adibita addirittura, negli anni successivi, a deposito di polveri sulfuree: nel 1824 il Comune ne ottiene la restituzione dalla Sovrintendenza dei Sali e Tabacchi. La torre, a pianta pentagonale e dotata di bastioni, risalente al XV secolo, venne trasformata in cafè-hause nel XIX secolo. Il nobile e vetusto residuo difensivo offre la sua visibilità all’esterno delle mura, mentre la parte prospiciente al parco è nascosta da strutture, sebbene mobili, pur sempre ingombranti e antiestetiche. La torre, oggi detta dei Canapè, mantiene in modo non continuativo (dipende dalla stagione e dal clima) la funzione di mescita di bevande e di commercio di gelati industriali, di caffè, ma è ben lontana la sua primigenia caratteristica che i nostri predecessori le vollero dare: un luogo di ritrovo coagulante per la cittadinanza che lì si riconosceva, sorbendo esotiche bevande, le signore con civettuoli cappellini alla moda; attualmente facce sconosciute neppure si scrutano mangiando svogliatamente una coppetta-gelato, si aspetta di arrivare a una determinata ora, con il virtuale rientro da scuola dagli illusi genitori, come la sbrigativa passeggiata, a pagamento, con l’anziana di turno.

Secondo Giovanna Chiuini, il Comune folignate, con l’approvazione, nel 1776, del progetto del luogo da ridefinire a spazio ludico, ne individuò unicamente gli aspetti utilitaristici, ovvero creare ed avere a disposizione uno spazio accessibile e funzionale dove potessero essere sistemate le fiere e i mercati, quindi un terreno che, dovendo essere livellato, potesse servire a depositarvi ulteriori scarti edilizi, provenienti dalla demolizione e ristrutturazione di palazzi e chiese, dalle ripavimentazioni viarie. La sistemazione globale del parco sembra, sempre secondo Chiuini, connessa più a una sovrapposizione di operazioni successive che a un progetto predefinito; il livellamento del piazzale proseguirà ancora per un trentennio; ma alla fine del Settecento l’immagine del ‘bel passeggio cittadino’ risulterebbe ancora piuttosto frammentaria: l’area centrale è suddivisa in proprietà private e, mentre i sedili e il viale sono stati sistemati, la piazza e il raccordo con via della Vignola non sono stati ancora determinati.

La sistemazione complessiva della piazza si configura con il progetto ottocentesco del 1825 di Pietro Oggioni, rettificato da Giovan Battista Borromei: si stabilisce l’assetto da dare allo spazio più esteso, ovvero al caratteristico affossamento della zona centrale con la forma di circo, demarcato da due viali paralleli.

Undici anni dopo si sistema in modo risolutivo l’altro semicircolo verso l’attuale Porta Todi, mentre per la messa a dimora degli alberi bisogna attendere il 1853, anno in cui si collocarono le piantagioni di alberi di altofusto per rendere più piacevole il luogo. Nel 1857 venne livellata la strada, nel 1859 l’ingresso da via della Vignola fu chiuso da un cancello, a protezione di atti vandalici e a protezione dei piccoli truffatori che evadevano il dazio scappando tra Porta Romana e Porta Todi.Vicino al cancello si erge un platano secolare, un patriarca.

Nel 1861 si stabilì di aprire una caffetteria all’interno della torre, tuttora esistente con similari intenti commerciali di ricreazione. Nel 1868 si posero altri cancelli all’ingresso da Porta Todi, si effettuarono le necessarie riparazioni dei sedili, si piantarono alberi novelli, infine fu nominato un custode per i Canapè con un salario annuale di £ 450. Nel 1870 fu articolato un progetto più capillare per un Piano di riqualificazione dello spazio ludico e del decoro urbanistico di Foligno; nella designazione delle aree gravitanti sulle antiche mura medievali si stabilisce una sistemazione definitiva dell’area dei Canapè, ma il nuovo progetto con padiglioni e pantheon resta sulla carta; l’architetto comunale Vincenzo Vitali aveva steso sia il progetto per il giardino pubblico di Porta Romana, poi realizzato nel 1873, sia la progettazione comprendente la riqualificazione dei Canapè, da articolare in connessione ai giardini di Porta Romana, ma la progettazione, appunto, rimase allo stato di ipotesi.

L’odierno giardino pubblico avrebbe avuto vita nel periodo fascista, dopo più di mezzo secolo, contemporaneamente i giardini di Porta Romana sarebbero stati soppressi perché in quella zona sarebbe stato costruito lo stadio comunale, realizzato in attuazione del Piano Regolatore Generale, redatto nel 1928 dall’architetto Cesare Bazzani. In modifica del Piano 1870, il quale destinava il settore che intercorre tra Porta Romana e la stazione ferroviaria agli alloggi popolari, avviene l’insediamento di grandiose, talora monumentali, ville urbane in cui si esalta l’eclettismo del gusto dell’epoca (ingegneri Romolo Raschi e Felice Sabatini), dando il via alla costruzione di edifici simili lungo la strada (viale Luigi Chiavellati) che conduce al parco dei Canapè, in tal modo si rafforza non solo il ruolo attrattivo della zona di Porta Romana, quanto l’ariosità e l’eleganza del verde pubblico (gli albereti lungo il viale Chiavellati e lungo il viale della Stazione) nonché privato (i giardini delle ville).

Pietro Battoni sottolinea come il Piano Regolatore Generale di Bazzani ratifichi l’uscita della città dalle sue mura, nonché la sua specifica straordinarietà, ovvero di essere un piano disegnato, tanto da vincolare con l’atto di approvazione le indicazioni progettuali alla loro formalizzazione futura. Il progetto di Bazzani rende evidente il passaggio dalla scala propria di una visione generale a quella particolareggiata nei dettagli del rinnovato ordine urbano; ivi compresa la scalinata d’accesso ai Canapè da via Nazario Sauro, fino a giungere al piano completo della sistemazione di Porta Romana, con i nuovi impianti sportivi, dove fu subito realizzato il Campo Littorio (1930), in luogo del giardino pubblico, qui sistemato dal 1873. La funzione di giardino pubblico viene delegata all’area fino ad allora mai davvero definita della passeggiata dei Canapè, che nel 1931 si trasforma in parco – il Comune aveva stanziato £ 5000 per la messa a dimora di 308 pini, in parte tuttora esistenti – si procede con il disegno dei vialetti e delle aiuole, con l’installazione di sedili in pietra lungo i viali e la costruzione della scalea di ingresso da via Nazario Sauro, non corrispondente nei particolari architettonici alla stesura del disegno originario molto più elaborato: la scalea si è compiuta sacrificando i sedili settecenteschi dal numero LIV al numero LXV e, per amor di precisione, la cancellata e la relativa strada d’ingresso de ‘La passeggiata dei Canapè’ ha distrutto i sedili dall’I al VI, mentre la cancellata posta verso via Chiavellati ferma l’ultimo numero al LXXVII: una riduzione notevole.

È in questi anni che viene consolidato il significato ricreativo del sito proponendo la realizzazione di un giardino formale, con altri significativi interventi, come l’illuminazione elettrica del parco e il posizionamento della fontana al centro del giardino, concludendo in tal modo l’evoluzione del parco dei Canapè, almeno fino agli anni ’90 del Novecento. Possiamo considerare pertanto il 1931 quale data di nascita ufficiale del giardino, senza dimenticare la secolare gestazione di spazio aperto al popolo folignate che qui veniva a passeggiare o ad osservare il passeggio altrui, che qui assisteva a eventi memorabili, a spettacoli divertenti o macabri, comunque spettacolari.

Al di là dei piani regolatori urbanistici (distruttivi o costruttivi che siano), i Folignati hanno continuato a frequentare i Canapè sia per le passeggiate sia per assistere a spettacoli di vario tipo; talora l’area ‘verde’ è sembrata agli stessi cittadini uno spazio degno per l’accoglienza di personaggi ragguardevoli, numeroso il pubblico festante, adatto il contesto per luminarie, fuochi d’artificio, corse di cavalli, o come si diceva allora, di cavalle o di berberi.

Ed infatti documenti e ‘cartelloni pubblicitari’ ci dicono che i Canapè hanno conosciuto un’ininterrotta fortuna nella frequentazione e nei festeggiamenti più o meno solenni, feste evocanti nella nostra minuta quotidianità eventi o personaggi di fama internazionale, a partire dalla Rivoluzione francese per proseguire con l’imperialismo napoleonico, per concludersi nell’Ottocento con l’Unità d’Italia.

La grande Storia sfiora il nostro parco il 28 giugno del 1800, con la passeggiata che papa Pio VII (Luigi Barnaba Chiaramonti, Cesena 1740-Roma 1823) non vi disdegnò di fare; infatti, appena eletto, Pio VII, successore di Pio VI (Giovanni Angelo Braschi, Cesena 1717-Valence 1799), imprigionato da Napoleone e morto in Francia, proveniva da Venezia e stava andando a Roma con un folto seguito di alti prelati e nobilissimi personaggi per sedersi sul soglio pontificio.

La stella napoleonica nel 1807 si riflette di sghimbescio sul nostro pubblico giardino nell’invito a partecipare all’evento del secolo: ai Canapè si sarebbe esibito il signor Tourniaire «cavallerizzo privilegiato di S.M. l’Imperatore e Re Napoleone», così nella ‘Gazzetta Universale’.

Ancora Napoleone, ma in versione onomastica: il maire G. Rossi Montoglio, il 13 agosto 1810, emana un editto che annuncia e stabilisce che di lì a due giorni ai Canapè si sarebbe svolta una corsa di cavalli con fantino per onorare san Napoleone «di cui porta il nome il più grande degli Eroi, Napoleone primo Imperatore de’ Francesi e Re d’Italia». Nel 1811, ai Canapè, in onore della nascita del figlio dell’imperatore, il 9 e l’11 giugno, si svolsero due competizioni equestri: espressioni di giubilo persino nelle letterarie accademie fulginee, poesie encomiastiche foriere di terribili conseguenze, alla caduta della stella napoleonica, per Giustiniano Poggi, principe dell’Accademia, canonico della cattedrale, aggregato con ludibrio ai cosiddetti preti giurati, ovvero che giurarono fedeltà a Napoleone, ‘dimenticandosi’ del potere temporale del papa. Proprio il 9 giugno, nella sala del Palazzo pubblico, dai soci dell’Accademia Fulginia fu solennizzata la nascita del piccolo ‘re di Roma’ con una tornata accademica che ebbe come tema il fausto evento, il fulgineo Giuseppe Filippini compose un’egloga di diciannove terzine, dal titolo: Per la nascita del re di Roma. Sconfitto Napoleone e liberato Pio VII, prigioniero dei Francesi, il pontefice nel suo ritorno a Roma, dal 18 al 21 maggio del 1814 (ben diverso da quello di quattordici anni prima), viene accolto dai Folignati, ma non solo («un concorso innumerabile di forestieri»), con fantasmagoriche espressioni di trionfo (autentico o per mascherare il senso di colpa per non aver troppo sofferto sotto la dominazione francese?). Ai Canapè, in suo onore, a completamento delle luminarie cittadine, inesauste per tre sere consecutive, il 19 maggio, di giovedì, fu incendiata una macchina di fuochi artificiali, mentre di sabato, sempre ai Canapè, fu organizzata una corsa di cavalli: il resoconto entusiasta nella ‘Gazzetta Universale’ del 26 maggio.

Per il cardinale Bartolomeo Pacca, protettore di Foligno, nel novembre del 1824, fu allestito ai Canapè un palco apposito da dove l’eminenza purpurea godeva delle carriere dei cavalli e dei festeggiamenti organizzati in suo onore.Tuttavia perfino la stella pontificia è politicamente al suo declino, soprattutto quando appare più sfarzosa. Il 17 ottobre del 1847 furono apparecchiati ai Canapè oltre cinquecento coperti per un convito di riappacificazione (i venti risorgimentali si erano già levati): il ‘liberale’ papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, Senigallia 1792-Roma 1878), fonte di ogni speranza per i patrioti cattolici italiani, e folignati in particolare, una voce per tutte quella di Francesco Maria Benaducci, inneggiante al papa in diversi sonetti, concede l’amnistia politica all’inizio del suo pontificato (eletto il 16 giugno 1846). I Canapè diventano il punto d’incontro per i concittadini e i rappresentanti dei paesi limitrofi, infatti al banchetto parteciparono bevanati, montefalchesi, spellani, trevani, spoletini (‘Gazzetta Universale’ del 23 ottobre 1847). Ancora festeggiamenti legati al mondo ecclesiale nel 1856 e nel 1857. Nel 1856, nei giorni 16 e 17 agosto, 7 settembre, ai Canapè plurime celebrazioni per l’elezione al cardinalato del folignate Alessandro Barnabò, oltre alle corse, ai giochi pirotecnici, una complessa e sorprendente illuminazione prospettica ad imitazione della chiesa del Redentore di Venezia, organizzata dalla Confraternita della Buona Morte; nel 1857, il 22 giugno, la festa riguardò l’anniversario dell’elezione di Pio IX.

Il Risorgimento tuttavia sta andando verso l’Italia finalmente unita e i Canapè sono teatro di questi fondamentali momenti per la nazione. La nazione si riflette nel gaudio, nelle competizioni dei cavalli con speciali premi, con l’innalzamento di globi aerostatici, con i fuochi d’artificio; nel parco cittadino memorabili i festeggiamenti del 21 ottobre 1860, allorché alle ore 16 sulla facciata del Palazzo comunale viene issato lo stemma sabaudo, così il 13 febbraio 1861 per la resa di Gaeta, ancora il 2 giugno 1861 per la prima festa dello Statuto; infine, il 12 ottobre dello stesso anno, il nostro parco fu onorato dalla visita dei principi reali Umberto e Amedeo di Savoia per i quali fu allestito uno speciale padiglione posto al centro del circo, donde potevano spaziare con lo sguardo sulla festa campestre organizzata dal Comune, festa rallegrata dalle musiche di sei bande musicali. Il parco prosegue nel tempo la sua ininterrotta storia di spazio aperto dove i Folignati potevano trascorrere ore di svago, assistere a spettacoli che diventavano sempre più sorprendenti, talora rischiosi, un luogo dove poter esercitare la propria vena sportiva: nel 1889 fu costituita una società velocipedistica, come allora si chiamavano i velocipedi, cioè le biciclette, naturalmente i Canapè furono ritenuti il luogo d’eccellenza per costruire una pista adatta per i neofiti del rivoluzionario mezzo di trasporto.

L’esistenza degli uomini è segnata da momenti gioiosi e da momenti devastanti: i Canapè hanno accompagnato i Folignati con il loro naturale scenario arbustivo anche nei momenti drammatici, sia episodici, sia collettivi. Le ombre fosche dei duellanti medievali, le anime dannate dagli arbitrari giudizi di Dio continuano ad avere parvenza di vita nella trasmissione orale dei tempi che furono, quando il delitto aveva la patente di giustizia, ma i brividi che potrebbero suscitare, sono subito chetati dal riconoscimento di una mancanza di documentazione scritta. Al contrario, per i secoli più vicini a noi, si hanno precisi ragguagli di giustizia, giustizieri e giustiziati che hanno avuto come sfondo teatrale, una vera tragedia umana, proprio il parco dei Canapè: Nicola Gentilucci, di trentasei anni, ha ucciso, nel suo paese d’origine a Cannaiola, un sacerdote e un vetturino a scopo di rapina, ha rapinato due frati, merita una pena esemplare, eseguita l’8 marzo 1769: mastro Titta, boia dello Stato Pontificio, dopo averlo impiccato, lo squarta.

Felice Rampi, giovane di ventisei anni, di Orzano, il 22 agosto 1812, viene ghigliottinato. Il 14 maggio 1850, con una sola esecuzione, per fucilazione, si eliminano cinque uomini delinquenti, il più giovane di diciotto anni, il più vecchio di ventotto, nessuno di Foligno, bensì dei paesi vicini, e che avevano derubato, senza ferire alcuna persona, nella casa del parroco di Pieve Fanonica: evidentemente i religiosi venivano giudicati senz’altro più abbienti dei comuni disgraziati e cinque disgraziate esistenze nemmeno pareggiavano la ruberia; ad ulteriore ludibrio i giustiziati vengono poi portati dai Canapè alla chiesa di San Giovanni decollato, dove rimangono esposti alla pubblica vista fino alla sera: valore deterrente delle torture e delle pene. Eppure Cesare Beccaria (1738-1794) aveva già pubblicato nel 1763, con deflagrante successo italiano ed europeo, il suo civilissimo saggio Dei delitti e delle pene, ma si sa: Foligno era città di provincia, e provincia dello Stato Pontificio.

Lo spazio accessibile, abbastanza ampio per accogliere molte persone in fuga dal groviglio di strade cittadine ancora di impianto medievale, ha reso i Canapè appetibili persino durante le periodiche scosse sismiche che con incontrollabile regolarità colpiscono Foligno e le zone appenniniche. Memorie drammatiche si conservano per il terremoto del 1832, particolarmente distruttivo. Nonostante la stagione autunnale inoltrata – siamo al 27 ottobre 1831, le scosse si succedettero per lungo tempo, fino a culminare con quella delle ore 21 del 13 gennaio del 1832 –, i Folignati si stanziarono con ripari di fortuna ai Canapè per svariati mesi, malgrado il tempo inclemente: ancora a marzo la città subì ulteriori scosse telluriche. In tale frangente i Canapè furono teatro della devozione popolare che, come si sa, nei momenti tragici diventa accorata: processioni del patrono, della Madonna del Pianto, il vescovo Ignazio Cadolini che paternamente rincuorava gli animi terrorizzati, gli animi si tranquillizzavano (fino alla scossa successiva). Nefasto un certo tipo di giustizia umana, nefasto il terremoto, nefaste le guerre, ma sorprendente, sempre si rinnova lo spirito di sopravvivenza dell’umana specie.

Durante le guerre tutto ciò che è lusso, è inutile, tanto che oggetti altrimenti preziosissimi vengono scambiati per un chilo di farina o di zucchero. Durante la Seconda guerra mondiale, una guerra devastante anche per i civili, non più esclusivamente per i soldati al fronte, i Canapè sono stati osservati dai Folignati con un’ottica ben differente da quella tradizionalmente ludica: perché non usare quella terricciola incolta o pervasa da un immangiabile prato per produrre vegetali commestibili? Tale uso si è prolungato nell’affamato dopoguerra. Un testimone d’eccezione in Franco Bosi: le sue ironiche, profonde riflessioni nel suo corpus poetico in dialetto folignate, o meglio di via Cortella, adiacente proprio al giardino pubblico, omaggiato dalla sua vena poetica con Jó li Canapè. Così Franco Bosi descrive gli Orti di guerra: «Occupavano una grande superficie a lato della scuola Santa Caterina. Proseguivano al di sotto delle mura, dove, in precedenza venivano esercitati il tiro a volo e altri sport. Gli orti al di sotto delle mura erano ancora visibili negli anni ’60, essendo di proprietà privata. La gestione degli orti era affidata a dei volontari e fu un esperimento di comunità solidale. La coltivazione riguardava tipi diversi di insalate e i cosiddetti odori. I pini, molto giovani, offrivano pigne che i ragazzi raccoglievano scalando a gambe nude i tronchi certo non lisci e agevoli. Le pigne venivano collocate in una sorta di forni, allestiti con mattoni di risulta. Al calore le pigne si aprivano e li pignoli aiutavano a lenire i crampi della fame». Gli episodi legati alla nostra infanzia producono nella rievocazione di noi adulti un tono epico: la scalata del ‘nemico’ (il pino) da sovrastare, il fuoco, il pericolo, domato dall’ingegno dei piccoli eroi, la sconfitta della fame, la sopravvivenza.

Negli anni ’80 del Novecento, infine, la pubblica amministrazione folignate ha progettato un piano sistemico di riutilizzo delle aree di pregio che si trovano all’interno del tessuto della città, proponendo un sistema del verde storico e che riguarda l’intera gamma del verde urbano: parco dei Canapè, ex Orti Giusti-Orfini, recupero degli ex Orti Jacobilli, giardino del palazzo Pierantoni. In particolare ci si è concentrati su una riqualificazione del parco dei Canapè considerando sia le strutture architettoniche e viarie, sia la ridefinizione delle specie arbustive ed arboree, messe a dimora in tempi e anni diversi, non più perfettamente funzionali agli scopi ricreativi cui il giardino vuole ottemperare. Negli anni ’90, alcuni interventi progettati, in base alla ridefinizione urbanistica dell’architetto Luciano Beddini, attuati su progetto dell’architetto Luciano Piermarini, risultano in parte eseguiti, altri in corso di esecuzione; il progetto è stato preceduto da un’analisi del processo storico di formazione del giardino e da una schedatura delle essenze botaniche allo stato arboreo presenti all’interno del parco. Stando a quanto scrivono (1990) Alfiero Moretti e Luciano Piermarini sul progetto di riqualificazione del verde urbano e più precisamente per i Canapè: «È stata ipotizzata un’azione che partendo dal giardino deborda verso le aree circostanti in modo da alleggerire il giardino da quegli usi e ad esso meno propri e da integrarlo con tipologie di verde a questo complementare poste in un’area prossima ad esso. Le opere progettate sono da ascrivere nel processo storico di costruzione del giardino come una sovrapposizione e sedimentazione di oggetti, sempre più a strutturare l’area e a renderla rispondente agli usi attuali: il progetto prevede di mantenere ed accrescere i modi d’uso statici e di relazione all’interno del giardino, mentre colloca quelli dinamici e di sport nelle aree limitrofe. Le attrezzature di svago per bambini vengono spostate prevedendo anche una differenziazione negli oggetti di rispetto a quelli ora presenti, proponendo oggetti capaci di valorizzare il gioco creativo e spostando in luoghi più idonei le attività di gioco che meno si conciliano con la tranquillità del giardino e la manutenzione del prato. Lo spostamento delle attrezzature per il gioco dei bambini è da ricercare anche nell’inadeguatezza funzionale della zona in cui sono ora collocati; infatti la zona è caratterizzata dalla presenza di sempreverdi che la rendono inospitale nelle stagioni intermedie e nelle giornate di sole invernale a causa del mancato irraggiamento solare: necessaria la scelta del nuovo posizionamento sotto delle essenze spoglianti. I Canapè sono da sempre uno spazio di transito, data la localizzazione dell’area nel contesto urbano; la previsione di un parcheggio su più livelli insistente ai piedi delle mura dei Canapè non poteva non avere una sua uscita pedonale sul giardino stesso. Si è per questo prevista, come proposta immediata, la realizzazione di un accesso che dal piano dell’esistente parcheggio fuori terra raccordi, anche tramite percorsi meccanizzati, i due spazi posti a diversa quota; nel contempo si è considerata la possibilità dell’uso dello stesso percorso meccanizzato per l’innesto di ulteriori uscite meccanizzate provenienti dai livelli posti sotto la quota del terreno, in modo da utilizzare un solo percorso di penetrazione. La palazzina dell’ex Salvati, acquistata dallo IERP di Perugia, è destinata a ospitare dei servizi ricreativi (bar, piano bar, ristorante, etc.). Il progetto prevede inoltre il restauro dei sedili in cotto (canapè), i quali, pur non presentando degradi di entità notevole, abbisognano di un intervento che preservi il materiale dal decadimento dovuto al tempo e agli agenti atmosferici. Il ridisegno e la ristrutturazione di un giardino ha modi di concretarsi completamente diversi da quelli possibili per altri manufatti: operando con del materiale vivente (le piante) non è possibile compiere tutte quelle operazioni che, operando con materiale inerte, è possibile fare. Nello specifico la difficoltà è dovuta all’eccessiva fittezza delle piante e all’impossibilità di spostare molti degli esemplari presenti, nonché all’improponibilità di un drastico intervento di eliminazione delle piante in sovrannumero. A complicare il quadro vi è la disomogeneità dello stato di accrescimento (dovuta all’epoca di impianto, anche molto sfasata nei tempi) delle piante che possono rimanere in loco. Le linee progettuali perseguibili sono sintetizzabili in due operazioni: da una parte rendere possibile la costituzione di una piantagione di spoglianti lungo il perimetro interno dei Canapè con piante poste ad opportuna distanza, dall’altra diminuire la fittezza dei pini operando l’asportazione degli esemplari posti a più diretto contatto con le spoglianti di cui sopra. Il risultato compositivo perseguito è stato quello di rimettere in evidenza una forma ad anello che contiene la massa arborea dei pini». Di certo gli accessi meccanizzati dal parcheggio sottostante al giardino, come i propositi per una funzione ricreativa dei locali adibiti a tale uso per la palazzina dell’ex Salvati non sono stati realizzati, i giochi creativi per i bambini credo in parte, ma sempre corteggia i piccoli avventori l’onnipresente giostrina a pagamento: ai Canapè uno dei divertimenti della mia infanzia era dare qualche cibaria alla scimmia rinchiusa in una vasta gabbia, posizionata verso l’ingresso ai giardini da Porta Todi, fino a che non mi morse il dito con fuoriuscita di sangue: da quel giorno digiunò.

Per riannodare le tematiche del discorso, che risulta complesso, come complessa è qualsiasi esistenza vivente vegetale o umana che sia, i giardini monumentali pubblici, in Italia e nel mondo, sono stati costituiti con plurime funzioni: decoro urbanistico, spazi naturali artisticamente addobbati, rarità e curiosità floreali con, in Italia, un esotismo dilagante, luoghi di svago, di gioco, di attività sportive. Attualmente, più sensibili al problema mondiale dell’inquinamento, i giardini pubblici vengono considerati un’oasi refrigerante, i polmoni verdi della città, più o meno efficienti, perché persino gli alberi si ammalano per il degrado ambientale. Nonostante sia evidente la recente sensibilità delle specie arboree ai fattori inquinanti, prodotti dalla nostra società iperconsumistica, iperproduttiva, con la terribile conseguenza di espandere in ogni dove micro e macrorifiuti, tuttavia si riscontra nelle piante un’esistenza più longeva di quella dell’uomo. Sotto gli alberi secolari tanta storia, tante storie.

I Canapè di Foligno non sono da meno e il parco cittadino ha visto e vede, nelle ore di sole, schiere di bambini giocare tra il verde, a volte studenti fuggitivi dai propri impegni scolastici, la canicola estiva porta la presenza di anziani, in cerca di refrigerio, seduti sugli ex leziosi, ex fatali canapè. Poi, mano a mano che la luce veniva e viene meno, i Canapè hanno intravisto, difesi dalle ombre arboriformi, scambi di tenerezze ed effusioni tra coppiette di innamorati di qualsiasi età, e le coppie mature forse sospirano i loro primi incontri proprio sulla pista da ballo che, collocata all’interno del parco, costituiva la loro economica ‘Rotonda sul mare’. Una rotonda, una piattaforma cementizia, attiva fino ai primi anni ’60, dove si alternavano orchestrine locali, come l’Orchestra Zaccardi, poi Astoria e che nel gruppo ha contato addirittura un musicista di fama, tal ‘Biscottino’, nel mondo Boncristiani, trasmigrato, in qualità di batterista, nella più autorevole orchestra del maestro Fallabrino della RAI; ed ancora Hot Gatto Nero, ed ancora Ezio (Ranaldi) più 5, ed ancora… Quante coppiette si sono formate ai Canapè, quante ispirazioni poetiche sono nate scrutando le ragnatele di luci e di ombre, tanto da vincere nientemeno il primo premio nelle gare letterarie: con Franco Bosi si rinnova l’Arcadia!

Jó li Canapè

«È ‘na serata có la luna piena / ch’offre pezzi d’argéntu a la cascata, / l’acqua cascanno fa la candalena / penzànno de sfornà ‘na serenata. / Lu ciurvellu ‘gni pócu dà colore / da certi quadri tutti sculuriti / frecànno li culuri da lu fiore, / cercanno tra li fiuri non spariti. / Raschianno la corteccia de lu pinu, / da quarghe témpu, chi lo sa perché, / se pòle ‘ncide có lu cortellinu / appena u’nnome jó li Canapè. / Lu lampione, lagghjó, su ‘n’angulittu, / chjappatu da ‘na specie de rimorzo, / s’appiccia,‘rchiude, com’a fa l’ucchjttu / pé dimme: – Quanno vène, io me smorzo –».

Banale? scontato? Al contrario: la varietà e la diversità delle testimonianze ci danno la cifra della complessità storica, sociale e sociologica che si cela dietro un bel parco

usufruibile e percorribile da tutti. I giardini pubblici hanno una data di nascita, talora una lunga gestazione, spontanea, come è per il giardino folignate, forzata quando i parchi o orti privati vengono espropriati e messi a disposizione del pubblico, e questo è il caso migliore, perché spesso magnifici giardini e ubertosi spazi ortivi del passato sono spariti insieme alle ville ad essi coniugati: penso ai palazzinari di Roma del periodo umbertino di fine Ottocento e inizi Novecento, persino villa Borghese ha rischiato di essere fagocitata dall’avidità di costruttori senza scrupoli, con l’avallo del governo, mentre fuori delle staccionate ‘difensive’ gli intellettuali, gli archeologi urlavano (inascoltati) il loro sdegno: oggi, il giardino di villa Borghese, frequentatissimo, amato, custodito dai cittadini, stretti a migliaia in un’Associazione intitolata a questo luogo d’elezione, ha fatto sì che, grazie al contributo personale e volontaristico e ai contributi economici dei privati e dei soci (vi aderiscono Italiani e stranieri), il parco sia annoverato tra i parchi più belli del mondo: un esempio per tutti, a partire dalla custodia della mini aiuola fino ai vasti giardini protetti.

A Foligno, rispetto alla distruzione totale delle virenti fonti di ossigeno, e nonostante la storia travagliata che si cela dietro il nostro bel parco pubblico, siamo stati più fortunati. Sempre gli amanti delle passeggiate percorrono a passo sostenuto o di corsa il perimetro ellittico del parco, oppure ci si riposa sui canapè o sulle panchine che a distanza regolare accompagnano i tracciati dei vialetti, tuttora bambini schiamazzanti giocano all’ombra dei ‘vigorosi’ pini di ‘romana’ memoria o altalenandosi e scavando sempre più con la forza dei loro piedini le povere aiuole o la ghiaia che vorrebbe offrire un biancore d’ordine, un lustro drenante per le giornate di pioggia. La pulizia e la cura, da parte dell’amministrazione comunale, sono assidue: giardinieri, operatori ecologici sono presenze mattutine pressoché costanti; fiori e cespugli fioriti rallegrano la vista, uccelletti ristorano l’udito, la fontana rallegra sia l’udito che la vista; una visione quasi idilliaca, per non dire arcadica: nel silenzio del primo mattino forse riusciamo a sentire ancora le poetiche voci dei nostri antenati, pastori d’Arcadia, di coloro che vollero, sacrificando le sostanze personali, un parco degno di tale nome: agirono, non pretesero.

Le foto storiche che seguono in questo articolo sono state gentilmente rese disponibili da Franco Bosi ed Elena Laureti.

  • Arcadi (Gli) dal 1690 al 1800. Onomasticon, A.M. Giorgetti Vichi (a cura di), Roma 1977
  • Ettore Tesorieri cancelliere, musicista, poeta, A.M. Rodante, P.Tedeschi (a cura di), Foligno 2008
  • Mastro Titta, L. Cesari (a cura di), Archeoclub d’Italia (Sede di Foligno), Foligno 1998
  • Un ingegnere a Foligno. L’archivio di Felice Sabatini (1891-1984). Inventario, a cura di R. Marconi, M.R. Benvenuti, M.P. Bianchi,V. Bianchi, Foligno 2008
  • A. Barnabò, Ragguaglio del pubblico e solenne ingresso di Mons. Ill.mo e Rev.mo Gaetano dei Conti Ginanni, patrizio ravennate e vescovo della Città di Foligno, Foligno 1778
  • P. Battoni, Foligno. La città vera e quella possibile. (Progetti e realizzazioni tra il 1840 e il 1940), Foligno 1985
  • F.M. Benaducci,‘Pio IX’ (1846), Giornale di Foligno, anno III, n. 5, 28 gennaio 1888
  • F. Bettoni,‘Gli orti nella città. Un aspetto della storia economica e del paesaggio urbano di Foligno’, Bollettino storico della città di Foligno, X (1986)
  • F. Bettoni, Palii ed immagini, ed. Diadema, Foligno 1996
  • F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Itinerari dentro e fuori le mura, Foligno 2001
  • G. Biancani, De Diis Topicis. Fulginatium Epistola, E. Laureti (a cura di), Foligno 2014
  • F. Bosi, ‘Jó li Canapè’, Frigghje e lurza, Foligno 2002
  • F. Bosi, Il pinguino innamorato, Foligno 2002
  • I.G. Cadolini, Discorso pronunziato dal Vescovo di Foligno li 4 gennaio 1832 per l’inaugurazione del novello Tribunale di prima istanza, Foligno 1832
  • R. Cantoni, Raccolta dei ricordi cari, F. Bosi, E. Laureti (a cura di), Foligno 2014
  • G. Chiuini,‘Foligno. Progetti e realizzazioni nel tessuto urbano tra il 1700 e il 1840’, Piemarini e il suo tempo, Milano 1983
  • V. Cruciani, Mura e città. Il caso di Foligno nel Trecento, Foligno 1998
  • D. Dorio, Istoria della famiglia Trinci, presentazione e note di G. Chiaretti, ristampa anastatica dell’edizione Foligno 1628, Foligno 1973
  • G. Gasperoni, ‘Movimento culturale umbro nel secolo XVIII’, in Bollettino della regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, XXXVII (1940)
  • E. Laureti, ‘Benaducci, patriota romantico’, Chiaroscuro, a. III, n. 15, marzo-aprile 2012
  • E. Laureti, ‘In margine alla Fulginia di Benedetto Pisani’, B. Pisani, Fulginia, Foligno 2010
  • E. Laureti, ‘Il Risorgimento nella Sala del Consiglio Comunale. La memoria selettiva’, Foligno e il Risorgimento. Documenti, Memorie, Ricerche, F. Bettoni (a cura di), Foligno 2012
  • E. Laureti, ‘Sacrum Supunnae: la memoria è nel segno’, Quaderni dell’8 marzo, Comune di Foligno, 2013
  • B. Marinelli, ‘Circo de’ Canapè di Fuligno’, Circo de’ Canapè di Fuligno. Divertimenti straordinari: carriere, tombole e fuochi d’artificio, Strenna 1997, Biblioteca Comunale di Foligno
  • B. Marinelli, I rioni di Foligno, Foligno 1994
  • A. Messini, I Canapè. Ricreazioni storico-sportive, Foligno 1939
  • A. Messini, L’Accademia ‘Fulginia’ e le altre associazioni culturali sorte in Foligno nella seconda metà del secolo XVIII, Foligno 1932
  • A. Moretti, L. Piermarini,‘Il verde all’interno delle mura urbane: progetti di riqualificazione e riuso’, Bollettino storico della città di Foligno, XIV (1990)

ELENA LAURETI

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