Bevagna: Parco delle Rimembranze

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La mobilitazione, promossa dall’Associazione nazionale combattenti, per la raccolta di fondi necessari alla erezione in città di un ricordo alla Memoria dei caduti della grande guerra, trovò ampi consensi anche tra i cittadini; l’Amministrazione comunale, guidata al tempo dal commissario prefettizio Fernando Mancini, nonostante la crisi finanziaria, stanziava un contributo annuo di £ 5.000, per il biennio 1921 e 1922.

Due le ipotesi al vaglio del Comitato per il Monumento ai Caduti in Guerra, nominato il 20 maggio 1922: la Campana della Vittoria, ottenuta dalla fusione di 4 campane rotte, da collocare in San Francesco o la costruzione di un monumento in una pubblica piazza.

Nel primo caso la costruzione ex novo di una torre campanaria, in San Silvestro o sopra il palazzo dei Consoli, più centrale rispetto al campanile della chiesa francescana, non trovò unanimi consensi. Lo spostamento della Fontana di mostra, inaugurata nel 1896 insieme al nuovo acquedotto, in piazza Santa Maria in Laurentia per far posto all’erigendo monumento provocò molto malcontento.

Nell’affollatissima assemblea pubblica del 4 novembre 1922, appositamente convocata dal Commissario prefettizio «[…] perché gli atti del predetto Comitato, fossero subordinati alla manifestazione del pensiero cittadino, attraverso l’autorevole pronunciamento delle maggiori notabilità del paese […]» fu deciso a larghissima maggioranza di costruire il monumento e indicata la zona esterna presso le mura cittadine, in prossimità della Porta Flaminia. Minimi gli interventi necessari per rendere idoneo il luogo, utilizzato fino ad allora come campo boario in occasione della fiera; dal secolo precedente, infatti, lo spazio individuato ospitava la tradizionale fiera mensile, spostata nel 1866 da vocabolo Cantagalli per garantire una maggiore fruibilità da parte dei numerosissimi venditori e avventori accorsi per concludere ottimi affari. L’intero ‘campo dei frati’, perché un tempo di proprietà dei francescani conventuali, brulicava in quegli appuntamenti di candide chianine; un abbeveratoio addossato all’opus reticolatum di epoca romana, testimonia ancora oggi l’utilizzo del luogo come ‘campo della fiera’. L’elenco delle maggiori notabilità del paese invitate comprendeva i signori: ing. Silvestri Silla, ing. Pagliochini Evaristo, dr. Marinucci Giacomo (notaio), sig. Silvestri Angelo (futuro assessore), dr. Mazzatinti Romeo (notaio), sig. Capobianco Decio, comm. Mattoli Attilio (presidente della Sezione Mutilati), sig. Giorgetti Luigi, prof. Bellucci Alessandro, dr. Santi Filippo, prof. Bartolini Basilio, sig. Diotallevi Vareno, sig.Trabalza Pilade, sig. Boccolini Ferdinando, sig. Boccolini Luigi, ing. Pascoli Ennio, prof. Tarulli Luigi, sig. Silvestri Tamiride, sig. Zampetti Ulisse, sig. Ricciarelli Colombo, dr. Mattoli Sesto, sig. Crescimbeni Angelo, sig. Damiani Pietro, sig. Piccini Benedetto, sig. Leonardi Carlo e dr. Mattoli Rifeo.

Tralasciando le vicende strettamente legate al monumento, già oggetto di una recente, apprezzata pubblicazione [A. Bazzoffia, L. Brunelli 2009], ci limiteremo a segnalare che il progetto per l’erigendo monumento, dopo un precedente bando annullato, fu affidato allo scultore Vincenzo Jerace, che condivise la scelta del luogo deciso in assemblea.

Per abbellire il giardino, come da disegno fornito dal tecnico comunale Crescimbeni, e rendere meno desolato il luogo prescelto, furono interpellate alcune ditte del settore vivaistico per la progettazione e la conseguente fornitura delle specie arboree da mettere a dimora; lo spazio a monte della città, tagliato in due dalla via Flaminia, era delimitato da una strada, dalla cinta medievale, dai resti di epoca romana, per ricongiungersi fino alla strada di circonvallazione, detta del gioco (attuale viale Properzio), per una superficie pari a 2.750 mq.Va precisato, infatti, che il giardino si estendeva all’interno del ‘campo dei frati’ fino al rialzo di terreno determinato dai resti di epoca romana, parzialmente sepolti, già oggetto di indagine archeologica da parte del Boccolini [G. Boccolini 1909] con conseguente riduzione dello spazio utilizzato mensilmente come campo boario. Ricordiamo, inoltre, che la dizione ‘strada di circonvallazione’ è impropria e non corrisponde all’attuale tracciato. L’esproprio e la costruzione della variante esterna, come adesso la conosciamo, ebbero inizio un decennio più tardi e interessarono il tratto di strada compreso tra Porta Flaminia e Porta Todi; fu realizzato un ponte sul fiume Clitunno e la nuova via di comunicazione andò a sostituire la stretta stradina addossata alle mura urbiche.

I preventivi pervenuti prevedevano costi e realizzazioni differenti per specie arboree, quantità e disposizione, forse perché non era stato fornito un capitolato specifico.

I Fratelli Sgaravatti di Saonara (PD), in risposta alla nota dell’Ing. Raffaello Pedrosi (genero del Prof. Mattoli Aristide e autore della prima ipotesi di progetto), allegarono al preventivo del 13 dicembre 1922 il disegno contrassegnato da numeri indicante il punto in cui dovevano essere messe a dimora le specie arboree meglio specificate nel preventivo stesso, che prevedeva un costo di £ 936, escluse le spese di spedizione.

14 alberi ad alto fusto di Aesculus hyppocastanum, di cui 7 previsti lungo viale Properzio e altrettanti ippocastani, insieme a 10 arbusti sempreverdi di Mahonia aquifolium dai fiori gialli e profumati, a delimitare il giardino dal campo boario, posto alle spalle del monumento; 10 cespugli sempreverdi di Ligustrum japonicum e 5 di ligustro variegato all’interno di un’aiuola in alto a destra, mentre a sinistra, accanto all’abbeveratoio e all’opus reticolatum, 6 cespugli aghiformi e sempreverdi di Pinus mugo e un grande arbusto di Crataegus glabra, molto decorativo e rustico, dal fogliame verde lucente che assume un colore rossastro prima di cadere, tra la torre Battisti e l’abbeveratoio, oltre a 30 rampicanti di Lonicera sempervirens a coprire la base delle mura medievali. 2 imponenti cedri deodara (o dell’Himalaya) posti all’angolo di ciascuna aiuola prospiciente la via Flaminia, per conferire solennità al luogo, senza compromettere la visibilità dell’opera scultorea, al pari dei 2 abeti Picea pungens, dal portamento piramidale e crescita lenta, posti ai lati dell’aiuola prevista davanti al monumento.

La rimanente parte del giardino, a sinistra della via Flaminia per chi entra in città, è arricchita da altri 2 cedri deodara nelle aiuole esterne e 6 conifere, sempre a portamento piramidale e crescita lenta, della specie Thuja, dalla chioma regolare e fitta, per l’aiuola centrale che termina con la conifera d’alto fusto Abies nordmanniana. Nell’angolo estremo, a ridosso delle mura medievali sette maestosi Pinus pinea, mentre all’inizio della futura strada di circonvallazione una siepe formata da 20 Laurus cerasus. Il preventivo prevedeva, inoltre, 20 chilogrammi di seme Gazon per il prato delle aiuole.

Di gran lunga più oneroso (£ 3.774,50 di cui 180 per dieci giornate di un operaio) il preventivo presentato dalla ditta Brocani Antonio e Figli di Foligno, datato 26 dicembre 1922. In allegato, invece di un disegno, la descrizione di 8 aiole e 2 recinti.

La ditta, forse più esperta in floricultura che nella indicazione del nome scientifico, prevedeva la messa a dimora di un maggior numero di esemplari: 6 cedri deodara invece dei 4 della ditta Sgaravatti, 8 Grataegus (sic) anziché 1, 12 Pinus Spinea (sic) contro i 7; un consistente numero di arbusti (122 boxus variegato e 270 buxus comune, 25 piante di pittosporum, 31 vitus canadensis rampicanti, 20 esemplari di viburno e 19 ligustri); un minor numero di altre specie ad alto fusto completavano l’elenco.

Dello ‘Stabilimento Ditta Bianco Bianchi. Proprietarii cav. Leone, cav. Astolfo Bianchi’ abbiamo soltanto il progetto di giardino pubblico, in scala 1:200, eseguito dallo stesso sig. Bianchi cav. Leone. 35 alberi d’alto fusto, di cui non sappiamo indicare la specie, a delimitare il giardino attorno al monumento; altri 19 dal lato opposto, a cui vanno aggiunti altri 8 esemplari (Pinus pinea?) contrassegnati dal numero 1. 14 gruppi formati da 6-8 cespugli (bosso?) sono contrassegnati con il 2 e disposti in entrambi gli spazi, mentre singoli esemplari sono intervallati agli alberi ad alto fusto; minore consistenza delle specie a base piramidale, contrassegnate dai numeri compresi da 3 a 15, fatta eccezione per i numeri 13 e 14 disegnati, con chioma alta, nelle vicinanze, ma a debita distanza dal monumento.

Nessuna proposta pervenuta fu accettata; il 22 febbraio 1923 il Comune di Bevagna, comunque, richiede, alla ditta Brocani di Foligno il preventivo per la fornitura immediata di circa 42 platani, 30 tigli e 8 ippocastani, specificando di preferire alberi di forza superiore, che verranno messi a dimora fuori Porta Todi (attuale via Roma).

Il 27 febbraio 1923 è convocato il Comitato Cittadino per il Monumento ai Caduti nella Guerra per l’Indipendenza 1915-1918, presieduto da Mattoli dr. Corradino, unitamente al Comitato Cittadino per il Parco o Viale della Rimembranza, di cui fanno parte i signori:

  • Spetia Conte Dino di Radione, Sindaco, Presidente
  • Ricciarelli Avv. Dante, Segretario Politico P.N.F., Membro
  • Mattoli Dr. Cav. Corradino, Presidente Sezione Combattenti, Membro
  • Ottavi Coriolano, Presidente Sezione Mutilati, Membro
  • Bellucci Prof. Alessandro, Ispettore Monumenti, Membro
  • Bartolini Prof. Basilio, Direttore Scuola Tecnica, Membro
  • Trabalza Pilade, Direttore Scuole Elementari, Membro
  • Preda Publio, Maestro Elementare, Membro
  • Morotti Fernando, Maestro, ex Combattente, Segretario

Tutti i componenti del nuovo comitato facevano già parte di quello per il monumento unitamente a Eupizi Emilio, Luccioli Crispolto, Damiani Francesco e Ottavi Coriolano. La proposta di creare in tutti i centri abitati d’Italia un parco o un viale della Rimembranza, per ricordare e onorare i caduti della Prima guerra mondiale, fu lanciata infatti nel 1922 da Dario Lupi, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, che inviò a tutti i regi Provveditori agli Studi una lettera circolare con la quale veniva richiesto «[…] che le scolaresche d’Italia si facciano iniziatrici di una idea nobilissima e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero; gli alberi varieranno a seconda della regione, del clima, dell’altitudine […]».

Nella circolare del Ministero della Pubblica istruzione, pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 52 del 28 dicembre 1922, si specificava che:

«Lungo i lati delle vie o nei luoghi, nei quali si ritiene opportuno formare viali o parchi della rimembranza, si aprano alle dovute distanze (variabili secondo le specie di piante da allevarsi) tante buche di un metro in quadro, e profonde un metro.

Sul fondo delle buche dovranno porsi calcinacci e pietrame in maggiore o minore quantità secondo che il terreno è più o meno compatto e umido; e dove sia necessario e possibile, si dia facile smaltimento all’acqua, che potrebbe stagnare nel sottosuolo, mediante canaletti di scolo.

Si sovrapponga poi uno strato di terra buona dello spessore di 10 cm, indi un poco di letame maturo con aggiunta di perfosfato (un chilogrammo per ogni buca).

Riempita quindi la buca con la terra precedentemente tolta, vi si faccia nel mezzo una buchetta quadra di 50 cm di lato e di profondità. Nel mezzo di questa si fissi un paletto colorato in bianco, che dovrà servire di sostegno alla piantina e che non dovrà essere più alto, da terra, del fusticino della piantina stessa fino al punto in cui hanno principio le ramificazioni.

Si metta sul fondo della buchetta una certa quantità di buon terriccio vegetale addizionato di perfosfato e cenere viva di legna, poi si collochi la piantina accanto al paletto di sostegno e si riempia la buchetta con buona terra pure concimata con perfosfato e cenere di legna (duecento grammi di perfosfato e cinquecento di cenere per piantina). Infine si leghi la piantina al paletto tutore con un vimine, interponendo fra questo e la corteccia un cuscinetto formato da un pezzo di canna di granoturco diviso a metà. Poi si innaffi abbondantemente.

Durante la primavera e l’estate si spargano attorno a ciascuna pianta cinquanta grammi di nitrato sodico, ripetendo la concimazione ogni due mesi e facendo seguire alcune zappature e, se occorre, qualche innaffiamento.

Per le potature di formazione della chioma e per le cure successive di allevamento rivolgersi alla locale Cattedra ambulante d’agricoltura, e, dove esistono, alla Scuola pratica d’agricoltura o all’Ufficio forestale.

Eseguito l’impianto si deve provvedere al collocamento del riparo.

Affinché i viali ed i parchi della rimembranza presentino un aspetto uniforme e caratteristico nelle diverse località d’Italia i ripari delle piantine debbono essere formati nel seguente modo:

Tre regoli di legno dai tre colori della bandiera nazionale e dell’altezza di m 1 a 1,50, della larghezza di cent. 8 e dello spessore di cent. 2 descrivano un tronco di piramide triangolare e siano tenuti fissi da sei traversine sottili di ferro, tre all’estremità superiore della lunghezza di cent. 30 e tre a metà dei regoli della lunghezza di cent. 40. Uno dei regoli e precisamente quello colorato in bianco, alquanto più lungo degli altri due, dovrà portare a 10 cm dall’estremità superiore una targhetta in ferro smaltato, con la dicitura:

IN MEMORIA del (grado, nome e cognome)

CADUTO NELLA GRANDE GUERRA

IN (data)

A (nome della battaglia)

I regoli, nella loro parte inferiore e per 20 cm, sarà opportuno vengano spalmati di carbolineum o di catrame. Le traversine di ferro dovranno essere colorate di alluminio. A metà distanza fra la superficie del terreno e le prime traversine e fra queste e le seconde siano tesi due fili di ferro spinosi».

L’8 marzo 1823, il prof. Bellucci invia una lettera di dimissioni al conte Spetia, in qualità di sindaco e presidente del Comitato per il Parco delle Rimembranze, spiegando di essere stato richiamato in servizio presso l’Istituto tecnico ‘L. Da Vinci’ di Roma e dichiarando il proprio dispiacere per dover rinunciare all’onorifica nomina. Nella missiva, inoltre, l’ispettore ai monumenti esprime il proprio pensiero sul modus operandi, specificando che:

«Poiché io però do ognora agli uffici cui mi chiamano, sempre, quel poco che posso, così mi è caro, nell’atto di dimettermi, di dire a Lei quelle mie idee che mi paiono buone, lietissimo se altri le migliorerà, Il Parco della Rimembranza Genialissima idea dell’On. Dario Lupi, germogliato forse da ispirazioni foscoliane dei ‘Sepolcri’, non deve essere un secondo camposanto o simile: ma un non so che come la Via Appia, la via degli eroi classici e il camposanto degli Inglesi: ma neppure un diporto: passeggiata solenne e meditativa.

Quindi non elci, che son troppo foschi e gettano tanta umidità e spandono d’inverno tetraggine, ma altra pianta. Io per esempio vorrei tuie messicane, come, insieme con Annibale Brugnoli le facemmo porre a Perugia attorno al monumento di Vittorio Emanuele II°: e mescolate con esse, aceri negundo, o bianchi che hanno le prime foglioline bianche, che poi si fan rosse, e, adulte diventano di un bel verde variegato finemente. Data però l’umidità, sempre preferirei piante a foglia caduca, che non piante sempreverdi. L’acero negundo è a foglia caduca. A Roma nei pressi di Via Lucrezio Caro c’è un viale precisamente accompagnato da filari di aceri negundo. (Chi volesse vedere l’effetto).

Quanto poi al proposito di trasportare dal monte elci con il loro involucro di terra, basta tagliare l’elce adulto di 30 anni vicino alla radice, capovolgerlo e mettere sotterra la chioma, perché venga quello che tutti sanno, cioè che dove erano le radici apparisce la chioma, dopo un paio d’anni e la chioma, sotterra, si trasforma in radici. Ad Acquasparta davanti all’Albergo dell’Amerino, ci sono cinque elci di un bel diametro, tagliati adulti e fatti rivegetare mediante capovolgimento.

Non pretendo di insegnare nulla a nessuno, felicissimo se altri farà bene».

I consigli dispensati rimangono disattesi, stando almeno alla lettera inviata all’assessore ai lavori pubblici Angelo Silvestri da tale James E. Grâa di Ripabianca, il quale lamenta di aver trovato nella propria macchia di Vitagnano (Gaglietole) una trentina di giovani e robusti elci sradicati da quattro uomini, tra cui Rossetti Dante, cantoniere comunale. L’operaio dichiarava la propria buona fede essendo stato informato da Silvestri Giuseppe, figlio del mugnaio di Gaglietole, di avere l’autorizzazione per scavare gli alberi destinati al monumento.

Nella missiva il proprietario specifica, invece, di non aver mai dato l’autorizzazione e rimarca che, essendo la macchia vincolata, non avrebbe mai potuto autorizzare nessuno. Per non correre il rischio di subire oltre il danno recato alla macchia, anche la beffa di incorrere nella contravvenzione prevista per lo sradicamento senza metodo, da parte della guardia forestale di Deruta, particolarmente severa, chiede una dichiarazione formale di colpa da parte del Silvestri Giuseppe per non essere la doppia vittima della sua disonestà.

A stretto giro di posta è lo stesso Sindaco a rispondere, ringraziando il signor James E. Grâa «[…] della spiccata cortesia e della squisita bontà addimostrataci […]». La nota, tuttavia, non risolse il contenzioso; fu lo stesso assessore Silvestri, l’anno successivo a doversi recare a Ripabianca per risolvere il caso.

I lavori di sbancamento, scavo e dissodamento di terreno per la formazione di aiuole dove piantare le specie arboree iniziarono a gennaio del 1924, dapprima con gli operai comunali, successivamente con manovalanza proveniente anche dalle frazioni. Nei mandati di pagamento, comprendenti sia la fornitura di alberi che il trasporto di terra troviamo il nome degli operai, ma anche di numerose donne impegnate fino al mese di luglio; a margine venivano conteggiati anche i fiaschi di vino acquistati per rifocillare le maestranze sottoposte a duro lavoro manuale.

Nei settimanali di paga i nomi più frequenti sono quelli di Rosi Carlo, Donati Giacomo, Bini Angelo, Mazzighi Francesco, Paci Giuseppe, Proietti Pietro, Re Filippo, Petruccioli Alfredo, Piermaria Riziero, Cucchi Bruno, Rossetti Elena, Bini Eugenia ecc.

A Chianella Francesco, Polsoni Osvaldo, Proietti Pasquale, Proietti Pietro, Ricci Giuseppe, Rossetti Ruggero e Santi Paolo fu assegnato il compito, per conto del Comune, di scavare le fondamenta del muro di cinta e di sistemare i viottoli tra le aiole, come riportato in una pianta non datata, in cui è segnalata la presenza di una bascula per pesare il bestiame, accanto alla torretta dell’acquedotto, di un tubo per lo scarico dell’abbeveratoio, riscoperto nei pressi di Porta Foligno durante i recenti scavi archeologici, e di una conduttura di scarico del serbatoio in San Francesco, che dalla cisterna presente nella ‘palestra’ (giardino dietro l’abside della chiesa omonima) arriva all’angolo opposto del giardino (incrocio tra la via Flaminia e il viale Properzio). Dal carteggio presente nell’archivio storico comunale si evince, e le prime foto o cartoline dell’epoca lo confermano, che furono messi a dimora, contrariamente a quanto auspicava il Bellucci, un consistente numero di elci forniti dalla Ditta Brocani Antonio e figli di Foligno. Il 15 aprile furono consegnati 90 lecci (Quercus ilex) e 6 cipressi (Cupressus piramidalis); due settimane più tardi altri 10 lecci, 2 palme (Chamaerops excelsa), 2 cedri (Cedrus deodara) alti 6 m e 6 alberelli di oleandro (Nerium oleander) per un importo complessivo di £ 2.265.

Da maggio in avanti i lavori interessarono la copertura della bascula, la fornitura e posa in opera di 53 colonne di cemento e relativa rete metallica sia lungo viale Properzio che per delimitare il parco dal campo boario; nel dicembre del 1924 si scavarono le fondamenta per il monumento. Ma non tutto era filato liscio.

Il 22 giugno dello stesso anno il sindaco scrive al Direttore delle Scuole Elementari per segnalare che: «Da qualche tempo si verificano gravissimi danneggiamenti alle piantagioni dei pubblici viali ed anche ai piccoli alberi del Parco delle Rimembranze». La nota prosegue sottolineando la gravità del gesto e soprattutto le proporzioni, «[…] tali da non essere più tollerate, tanto da indurre l’Amministrazione comunale a prendere i più severi provvedimenti. Dagli accertamenti è risultato che i danneggiamenti vengono procurati per la maggior parte dai giovanetti delle pubbliche scuole […]». Dopo aver pregato di far rilevare agli scolari le gravissime responsabilità materiali, in riguardo al danneggiamento arrecato al patrimonio comunale, alle quali i colpevoli e i genitori andrebbero inesorabilmente incontro, ma soprattutto morali, «[…] per la considerazione che è forse l’unico paese questo in cui si vedono commettere, con inconcepibile incoscienza simili reati sugli alberi dei pubblici viali in genere e più specialmente su quelli del Parco delle Rimembranze che stanno a rappresentare la espressione tangibile perenne di devozione e di affettuoso ricordo verso i caduti per la Patria […]». La missiva si conclude sollecitando l’interessamento dei bravi insegnanti, di cui apprezza l’encomiabile premura di quanti, pur non essendo tenuti, accompagnano abitualmente gli alunni fino alla piazza principale, perché ammoniscano le scolaresche.

Sia il direttore che alcuni maestri facevano parte del Comitato per il Parco delle Rimembranze. Le numerose circolari ministeriali prevedevano la collaborazione del corpo insegnante con l’autorità municipale che sceglieva il luogo, mentre il rito della piantagione doveva essere compiuto dalle scolaresche affinché manifestassero la riconoscenza ai caduti della propria città. Probabilmente i valori morali auspicati da Lupi e richiamati dal sindaco non erano stati ancora recepiti, così come non era stata istituita una ‘guardia d’onore’, formata da scolari, a cui affidare la cura delle ‘selve votive’.

Non siamo in grado di conoscere quanti alberi dovettero essere sostituiti per mancato attecchimento e quanti per i danneggiati subiti. Il 27 marzo 1925 la ditta Brocani fornisce altri 71 lecci da 3 m di pronto attecchimento, 140 cespugli di bosso comune (Buxus sempevirens), 34 di pitosporo (Pittosforum) e 100 di alloro (Laurus nobilis), oltre a 6 cipressi (Cupressus horizontalis), 3 tuie (Thuia compacta), 2 cedri deodara, 2 oleandri alberetto (Nerium oleander), 41 platani (Platanus) e 30 tigli (Tilia), per un importo scontato di £ 3.250. Sempre nel ’25 viene acquistato il seme per il prato e altri alberi per il parco della rimembranza e il vicino campo boario. Anche nel 1926 vengono acquistate altre specie arboree (bosso, alloro, cipresso, leccio, acacia, tiglio e platano) presso il Consorzio Agrario di Bevagna e pagate £ 980 alla Società maioliche Deruta per la fornitura delle targhette con il nome dei caduti, di cui però non conosciamo il numero. In base all’elenco fornito dall’Amministrazione comunale, l’artista Jerace inserì in quattro lapidi il nome di novantanove militari, iniziando dal tenente Ugo Marini, il più alto in grado e, a seguire, sergenti, caporali e soldati semplici.

Gli elci attualmente presenti sono in numero inferiore rispetto ai novantanove caduti per la patria ricordati nelle lapidi, ma di questo argomento torneremo a parlare successivamente.

Le immagini dell’epoca mostrano i giovani lecci (muniti di targhette, di cui non rimane più traccia) collocati ai lati e dietro il monumento, per non comprometterne la visibilità dalla strada. Solo due palme tra il bosso e altri arbusti adornano le aiuole antistanti l’opera scultorea, mentre posteriormente si ergono i due maestosi cedri, distanti dal monumento 10 m circa, così come prescritto in un disegno di quel periodo, in cui è annotata la scritta: «La parte posteriore ricca e alta d’alberi e quella anteriore rada e bassa d’alberi».

La scelta dei ‘foschi’ lecci, sicuramente meno decorativa e variegata rispetto al progetto Sgaravatti e degli altri preventivi pervenuti, rispondeva meglio all’esigenza di non porre alcuna discriminazione tra i caduti, tutti immolatisi per la patria, senza distinzione di grado o ceto sociale; la targhetta smaltata prevista nella circolare Lupi su essenze arboree ad alto fusto, mal si adatta con le specie a forma piramidale né tantomeno con arbusti o cespugli, presenti in tutti i preventivi pervenuti.

In concomitanza con i lavori di assemblaggio del monumento, vengono installati alcuni sedili in ferro verniciati per consentire una sosta all’interno del parco e collocata una robusta balaustra in ferro, realizzata da Natili Antonio, su disegno del prof. Saverio Sacco di Roma, per delimitare entrambi i lati della via Flaminia. Lo stesso fabbro bevanate è l’artefice dei due solenni cancelli, montati all’ingresso dei due spazi poco prima della inaugurazione.

«[…] La cerimonia, il giorno dell’inaugurazione, è riuscita solenne e grandiosa […]» scriverà il Sindaco nella Relazione per la Erezione di un monumento alla memoria dei Caduti in guerra.

Il numero di caduti da ricordare ha, in un certo qual modo, condizionato il sesto d’impianto e le folte chiome degli alberi adulti si sovrappongono l’un l’altra. La lista dei militari, ivi compresi quelli morti per malattia contratta in guerra, supera le centoventi unità, ridotta a novantanove soltanto nel 1926, quando fu consegnata allo scultore Jerace per l’inserimento nelle lapidi. Nonostante le ricerche effettuate non siamo riusciti a conoscere quanti lecci furono messi a dimora nello spazio prescelto e se altre specie arboree furono utilizzate per apporre la targa smaltata recante le generalità, il grado, la data e il luogo della battaglia dove persero la vita.

A quasi un secolo di distanza dall’inaugurazione, numerose modifiche sono state apportate al parco. La recinzione e i cancelli in ferro, requisiti nell’agosto del ’41 durante il secondo conflitto mondiale e rimpiazzati nel 1952, furono a loro volta eliminati negli anni ’80, in occasione degli scavi archeologici a ridosso dell’antica via Flaminia. Dal confronto con le immagini a noi pervenute, molti arbusti, una palma e alcuni lecci mancano all’appello, specialmente nella zona interessata dagli scavi; minori le perdite dalla parte opposta, fatta eccezione per alcuni cespugli di bosso, qualche leccio e un imponente cedro, di cui rimane soltanto la radice senza vita dopo essere stato colpito da un fulmine negli anni ’90.

All’interno di palazzo Brunamonti analoga sorte era toccata a un’altra specie arborea radicata in un giardino posto in pieno centro storico; in questo caso il proprietario del fondo aveva provveduto a ricoprire ciò che rimaneva del fusto carbonizzato con una muratura, a protezione del luogo forse ritenuto sacro, al pari della lastra di marmo perforata da un fulmine, recante la scritta SACR(UM) FULG(UR) CONDIT(UM) e attualmente conservata in casa Spetia; l’epigrafe di epoca romana fu rinvenuta fuori di Porta Foligno, a sinistra di chi esce da Bevagna, e indicava un terreno sottratto all’uso profano, posto nella categoria dei ‘loca religiosi’ [R. Paribeni 1926].

Il fulmine caduto all’interno del parco della Rimembranza, a molta distanza di tempo ma non lontano dal luogo precedentemente colpito, ha voluto forse ribadire la sacralità del luogo prescelto per la memoria di quanti si immolarono per la patria.

  • A. Bazzoffia, L. Brunelli, L’Adorea di Vincenzo L. Jerace, Storia e restauro del monumento ai Caduti di Bevagna, Comune di Bevagna, 2009, p. 253
  • G. Boccolini, Mevania: Notizie storiche e archeologiche, Cagli 1909, p. 67
  • R. Paribeni, Notizie degli scavi, 1926

ANTONIO LANARI

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