Nell’alimentazione contadina, il maiale costituiva, insieme al pollame, la principale fonte di proteine animali.
Per assicurare una migliore conservazione delle carni da lavorare, la macellazione del maiale avveniva nel periodo più freddo dell’anno, dicembre e gennaio.
L’animale era scannato, tagliando di netto la giugulare, e lasciato dissanguare.
Il sangue era raccolto in un recipiente capace ed utilizzato per fare i “sanguinacci”.
La prima operazione che seguiva, consisteva nell’asportare le setole: si poteva procedere ammorbidendole con acqua bollente e quindi raschiandole con la lama di un coltello, oppure bruciandole con torce di cannucciola o con i “cannucci”, vale a dire gli steli residui della sfibratura della canapa.
Il maiale era poi appeso ad una trave e spaccato in due longitudinalmente.
Le interiora erano asportate, ripulite e utilizzate per insaccare salami e salsicce.
La vescica veniva gonfiata, quando era ancora calda, direttamente o per mezzo di un pezzo di canna, lasciata essiccare e, poi, utilizzata come recipiente per lo strutto (grasso fuso, ottenuto dalla “corallina” o “assogna”).
Polmoni e fegato erano messi da parte per essere insaccati come “mazzafegati” (salsicce di fegato) o cucinati alla brace come fegatelli – foderati di “rete”, conditi con tanto pepe, sale e foglie d’alloro.
Trascorsi un paio di giorni, quando la carne si era “fermata”, si provvedeva a “spolpare” le mezzene (le due metà del maiale).
La carne era selezionata per le diverse utilizzazioni: si realizzavano subito salami e salsicce, cotechini e “coppa”, mentre prosciutti, spallette, capocolli e guanciali si mettevano sotto salatura – tantissimo sale, pepe e aglio (quanto basta) – per qualche giorno.
Erano, quindi, lavati con vino bianco, asciugati, conditi con pepe e aglio e appesi a stagionare. I capocolli erano anche accuratamente incartati con un foglio di carta oliata e quindi con uno di carta paglia.
Per preparare la “coppa” di maiale, si mettevano a lessare in un caldaio le cotiche, gli ossi spolpati e, a volte, le orecchie e il muso del maiale.
Una volta ben cotti – la bollitura si protraeva per diverse ore – con un coltello si recuperava la poca carne ancora attaccata agli ossi e tutti gli ingredienti erano tagliati a pezzetti.
Si condivano con sale e spezie varie, tra cui la noce moscata, il pepe e la cannella, e si aggiungevano del limone grattugiato, pezzetti di buccia di arancia e in taluni casi anche della pasta di salsiccia.
Quest’impasto era poi messo in un sacco di cotone – a volte era usata anche una federa – che, dopo essere stato legato strettamente con uno spago, era posto sotto peso in modo da fare uscire dalla carne il liquido di cottura residuo. La “coppa” era mangiata, appena fredda, già dal giorno successivo alla preparazione. Nel maiale era particolarmente importante la quantità di lardo prodotto: il capo-famiglia, non appena l’animale era morto, provvedeva impazientemente a misurarne lo spessore di grasso, infilandogli un coltello o uno stiletto nella schiena. Era motivo di vanto per tutta la famiglia avere allevato il maiale più grasso della comunità. Per l’elevato costo dell’olio, il lardo rappresentava, infatti, il principale condimento dell’alimentazione contadina.
La macellazione del maiale era un momento di festa per tutta la famiglia: subito dopo l’uccisione veniva “assaggiato”, cuocendone le “animelle” (cervello e midollo spinale) e le “rifilature”, vale a dire i pezzetti di carne che si ottenevano lungo il taglio di sezionatura della bestia.
Del maiale, in definitiva, non si sprecava nulla: le setole erano utilizzate per fabbricare pennelli, gli ossi venivano bolliti per fare brodo e sugo e la cotica entrava nella preparazione di “coppa” e cotechini.
Per il resto, le bistecche e le “costórélle” alla brace, nonché gli zampetti in umido (con i fagioli) li conoscono tutti e i nostri salumi… “parlano” da soli, basta assaggiarli!