Dalla nostra gente vengono individuate con vari nomi, icone (quasi esclusivamente in ambiente urbano), maestà, cappellette, «madonne», «madonnelle», e più frequentemente «pinture» o «pinturette», indicandone con il nome la tipologia.
Esistono infatti diversi manufatti con analoga funzione e il linguaggio dialettale, più povero di vocaboli della lingua, in questo caso ne è sufficientemente prodigo e con termini precisi. I vocaboli «madonna» o «pintura» e i rispettivi diminutivi indicavano invece i soggetti dipinti, ed è caratteristica delle edicole locali la raffigurazione della Madonna con Bambino, con vari santi oggetto della devozione popolare locale.
Soltanto in due edicole è dipinta la scena della Crocifissione di Cristo e ambedue stavano all’ingresso di luoghi di sofferenza: carcere e ospedale.
Ne esistono delle più varie tipologie e dimensioni. Le più frequenti sono a tempietto e le maggiori hanno una gronda aggettante, per ricoprire lo spazio antistante praticabile, o addirittura il tetto, sostenuto da un muro o da pilastrini, a copertura della strada adiacente.
Numerose sono pure quelle a nicchia, alcune piccolissime a lato o sopra la porta degli edifici, altre, di dimensioni maggiori, da potere contenere una mensa di altare e alte oltre tre metri. Esistono degli esempi di nicchie di minimo spessore, praticamente ricavate nell’alzata di un muro isolato, che si potrebbero chiamare «a vela».
Una menzione a parte merita la cappelletta posta in un crocicchio, ora trasformato in una specie di «rotatoria» che la circonda interamente, cento metri a monte della parrocchiale di Matigge, sull’antichissimo tracciato «più alto» che da Trevi conduceva alla via Flaminia verso Foligno. Il piccolo edificio potrebbe più propriamente definirsi un oratorio, essendo completamente chiuso da tutti i lati, ma un ampio finestrone a sud, protetto da inferriata, permette al viandante la completa visione dell’altare sulla parete opposta. La pittura è assolutamente originale e raffigura una classica icona secondo i canoni dell’arte orientale ortodossa. Per capire l’adozione di questo stile anomalo in Valle Umbra occorre spendere due parole sull’autore: Pietro Egor (Jegor). Danese, di padre russo e madre francese, travolto in assurde e tragiche situazioni dalla bufera della guerra, approdò al monastero di Santa Croce di Sassovivo, dove si erano rifugiati alcuni monaci dell’Europa orientale. Nel 1948, scioltasi questa comunità, si stabilì prima a Cancelli di Foligno e successivamente a Trevi. Aveva iniziato a dipingere seguendo le forme della pittura sacra orientale e per approfondire la tecnica e lo stile – e forse anche per l’esigenza di una forte esperienza spirituale – si trasferì in Grecia tra i monaci del monte Athos, dove rimase vari anni. Tornato in Danimarca insegnò Pittura Orientale all’Università di Copenaghen e infine si ritirò a Trevi, dove aveva acquistato una casetta in località Matigge di sopra. Nel 1987 allestì una straordinaria mostra di icone nella chiesa di San Giovanni a Trevi. Altre sue opere ornano alcune chiesette del Subasio (Armenzano), l’ex parrocchiale di Manciano e San Clemente di Matigge.
Quanto alla funzione delle edicole, a seguito delle numerose trasformazioni degli edifici e per deviazioni e ampliamenti delle strade, molte hanno perso la motivazione della loro origine, anche se talvolta rimangono come unica testimonianza dell’antico assetto territoriale.
Le più antiche, quelle a cui si può attribuire una «funzione pubblica», si potrebbero far risalire alla tradizione pagana, per invocare sui viandanti la protezione della divinità e poste quindi lungo le strade, a protezione del crocicchio (compitum) intitolate, appunto, ai lari compitali.
Nel bivio era infatti necessaria l’assistenza della divinità per guidare il viandante a scegliere la strada giusta e per proteggerlo da brutti incontri. L’eventuale lucerna, visibile da lontano nel buio della notte, era anche un sicuro punto di riferimento e di orientamento.
Quando la religione cristiana si è sostituita ai culti pagani, gli edifici sacri, templi ed edicole, hanno ospitato le nuove divinità, ed è molto suggestiva l’ipotesi che alcune edicole delle nostre campagne siano state più volte rimaneggiate o addirittura ricostruite sulle fondamenta di tempietti che antichi abitatori di queste terre misero all’incrocio delle loro strade. Potrebbero avere questa origine alcune edicole a base quadrata ubicate a mezza costa, all’incrocio di antiche strade romane con percorsi naturali di cresta o di valle. Potrebbe avere una remota origine pagana anche l’edicola alla Fonte della Madonna, a Sant’Arcangelo, forse anticamente dedicata al nume tutelare della fonte sottostante. Sul fondo della valle è praticamente impossibile trovare situazioni analoghe, poiché ricorrenti fenomeni alluvionali vi hanno depositato tanto materiale da innalzare il livello del terreno di alcuni metri, ricoprendo eventuali resti.
Un chiaro riferimento alla funzione dell’edicola come elemento di orientamento nella notte e con specifico compito di illuminazione stradale si può trovare nell’abitato di Matigge, dove la Madonna è chiamata Mater divini luminis, secondo una formula non riscontrabile nella pur vasta antologia delle litanie mariane.
Alcune edicole sono state erette come ex voto, a ricordo del committente che ricevette una grazia, come la guarigione da una infermità o uno scampato pericolo.
Varia è la decorazione interna. Non esistono edicole che contengono vecchie statue o perché deperite, specialmente se di legno, o perché trafugate e disperse.
Le più frequenti e anche le più interessanti contengono vari dipinti «a fresco» alcuni molto deteriorati, altri rifatti in modo più o meno arbitrario.
Alcune, nel raggio di meno di un chilometro dalla chiesa parrocchiale, ricoprivano un ruolo particolare essendo meta delle processioni nei giorni delle rogazioni. In qualche caso, quando l’edicola è intitolata a un santo venerato nella parrocchia, essa diventa meta della processione che si effettua il giorno della festa.
Vogliamo ricordare due edicole molto importanti per la storia locale e non solo.
La prima è l’immagine della Madonna delle Lacrime, che fu dipinta nel 1483 sulla parete di una casa rurale appena al di fuori delle mura di Trevi. In seguito alla lacrimazione miracolosa di questa immagine, che poi operò numerosissimi altri prodigi, fu innalzato il magnifico tempio ad essa intitolato.
L’altra è quella a casa Bonilli in San Lorenzo, restaurata recentemente. Nelle pareti laterali sono dipinti la Madonna con il Bambino e altri santi, opera di un certo pregio artistico che risale al XV secolo. Nella parete di fondo invece sono raffigurati la Madonna con il Bambino e san Giuseppe. Anche questa pittura è «di buona mano» ma di tre secoli più tardi. Ci piace pensare che questa immagine della Sacra Famiglia, nella casa dei nonni di Pietro Bonilli, abbia in qualche modo influenzato la sua vocazione e l’amore per i tre divini personaggi che guidò tutte le sue opere caritative fino alla fondazione di una congregazione religiosa, votata all’assistenza delle portatrici di handicap, intitolata appunto alla Sacra Famiglia.
Altre edicole, seppur meno famose, sono state tanto importanti da essere individuate come inequivocabili punti di riferimento sul territorio e di ciò resta memoria nella toponomastica come la «Madonnuccia», nel bosco sopra l’abitato di Pigge, via della Pintura, a Borgo, e la strada della Rosa o della Madonna della Rosa, unico ricordo di un’edicola completamente distrutta da almeno settanta anni.
In alcune edicole si può ancora riconoscere l’opera di una mano maestra che decorò la nicchia in tempi in cui l’arte era di casa nelle nostre contrade e ciò specialmente in ambiente urbano. Non si possono sottacere a tal proposito numerose facciate dipinte, o dipinti di facciate reperibili in Trevi, segnalate anche da ricercatori in tempi recenti (G. Benazzi, 1987), anche se, per i limiti imposti, non possono essere inserite in questa raccolta.
La maggiore facciata dipinta si trova in via Zappelli, davanti alla chiesa di San Giovanni de Platea. Rappresenta il mito profano della metamorfosi di Atteone. La raffigurazione delle donne al bagno, proprio davanti alla chiesa di San Giovanni, viene messa in relazione dagli storici con l’uso, diffuso in tutta Europa e documentato in Trevi, di abluzioni nella notte di mezza estate (24 giugno, festa di san Giovanni) a scopo terapeutico e propiziatorio per la fertilità. Consolidata nei primi anni novanta, senza una benché minima protezione dagli agenti atmosferici, versa di nuovo in condizioni precarie. La data 1512 era leggibile fino a venti anni addietro.
In via dell’Ospizio, contiguo al palazzo comunale, si trova un grande affresco appena leggibile, vi si intravede un enorme san Cristoforo e sulla destra una Crocifissione. Ornava la facciata dell’ospizio e dell’annessa chiesa, da tempo distrutta e destinata ad altri usi. La gronda molto ampia ha protetto dal dilavamento questa opera a dispetto dell’incuria degli uomini ma, prima di imminenti e irrecuperabili distacchi dell’intonaco, sarebbe raccomandabile rimuovere i secolari strati di polvere per poter rivedere una pittura che forse risale al Trecento (S. Nessi, S. Ceccaroni, 1979, p. 115; G. Benazzi, 1987, p. 441).
Un’altra piccola decorazione del XVI secolo orna ancora l’antico forno pubblico in via Marconi. Vi è raffigurata un’immagine del patrono sant’Emiliano benedicente, d’ingenua fattura. Vi si legge ancora la data: «1 aprile 1597».
Salvo casi particolarissimi, si deve registrare il deplorevole abbandono in cui versano questi piccoli monumenti, spesso uniche testimonianze della inesorabile trasformazione dell’ambiente e della faticosa esistenza della nostra gente, della sua fede e delle sue tradizioni. Il degrado avanza in modo sempre più veloce, sia per il progressivo indebolimento delle strutture, sia per i fattori ambientali sempre più avversi.
Veramente negli anni recenti sono state realizzate molte immagini sacre su vecchie e nuove costruzioni, perpetuando una tradizione plurisecolare, ma per esse non si può più riconoscere una «funzione pubblica», bensì sembrano costruite quasi esclusivamente «a protezione» della casa. Inoltre, con le dovute eccezioni, sono decisamente scadenti sotto l’aspetto estetico.
Purtroppo, come proclamava accorato un colto sacerdote trevano nel 1934 (A. Bonaca, 1934, p. 33), è ancora una pia aspirazione sperare che non si mandino in malora monumenti egregi per sostituirli poi con opere che fanno pietà.