Spoleto

Le edicole

Le edicole sacre e gli altri segni del Cristianesimo sono specchio fedele della storia e della religiosità nel loro progredire e nel loro trasformarsi attraverso i secoli. Le immagini dei santi maggiori, urbani e rurali, e i simboli astratti e figurati costituiscono alcuni dei tramiti con cui i popoli dei comuni, dei castelli, delle diocesi, delle pievi, hanno manifestato richieste di aiuto, ringraziamenti e omaggi. Anche a Spoleto, città posta sotto la speciale protezione della Madre di Dio, qui venerata almeno fin dal VI secolo, quando i monaci siriaci del Monteluco ne alimentarono il culto, Maria è protagonista nell’iconografia delle edicole e delle immagini sacre, così come lo è nelle maestà superstiti nelle ville e nei castelli di altura e di pianura, da quelle di Silvignano, trecentesca, di Bazzano e di Poreta, a quelle quattro-cinquecentesche di Beroide, Maiano e Protte.

Nella Deesis del Duomo, del 1207, forse del grande Alberto autore della Croce del 1187 (G. Benazzi, 1991), Maria è Mediatrice: con l’altro «figlio» Giovanni Evangelista, essa introduce la comunità spoletina al cospetto del Salvatore bizantino con un gesto che è anche d’intercessione. L’immagine è aulica, già antica, come l’Icone preziosa custodita nel Duomo.
Quasi un secolo dopo, la maestà della Madonna orna e «coltiva il sacro» (E. Guidoni, 1980) su un tratto del decumanus, affiancata dai leggendari martiri romani Giovanni e Paolo, dall’Evangelista e dal Battista. Sul decumanus è un’altra maestà, del 1375, dove al Battista coperto di pelli fa da riscontro lo spellato Bartolomeo, il santo che nelle campagne protegge dalla paura; la Madonna è su quel trono marmoreo che ritroveremo nel Quattrocento, ingentilito da un panno nella maestà della Ponzianina, profondo e con lo schienale mistilineo nella miriade di maestà visibili sulle pareti delle chiese cittadine e della Valnerina.
Di certo è difficile riconoscere adesso l’effettivo significato e l’effettiva funzione di queste immagini, spesso prive d’iscrizioni, nella completezza delle loro allusioni a fatti e a persone che ne promossero la realizzazione. Raramente, infatti, l’edicola viene citata dalle fonti manoscritte o a stampa, cosa che d’altra parte rende pienamente apprezzabile la sua caratteristica peculiare: il fatto di essere il prodotto di un atto volontaristico, sostanzialmente mai sottoposto ad una regolamentazione almeno fino all’età della Controriforma. Dietro alle maestà e alle Madonne di Misericordia bisogna vedere il mondo degli ordini mendicanti e delle confraternite ad essi associati, delle congregazioni, delle società di arti e mestieri, che anche a Spoleto assolsero i loro uffici di pubblica assistenza, di promozione del culto e delle pratiche di vita religiosa: francescane le confraternite della Concezione, dei Cordigeri di san Francesco e di sant’Antonio da Padova; domenicana quella di san Pietro Martire; agostiniana la confraternita della Misericordia e della buona morte; altre confraternite e congregazioni si aggiungeranno nel XVI e nei secoli seguenti. Spoleto, dove nel 1232 è stato canonizzato Antonio da Padova e dove il ghibellinismo fu sconfitto nel 1391, con la battaglia risolta grazie all’apparizione miracolosa di san Pietro Martire, è un centro in cui la tensione religiosa è forte, alimentata dagli eremiti, dai bizzocchi e dalle bizzocche, dai movimenti riformati, come i Clareni che hanno un esponente di spicco in Corrado da Spoleto. La città, della quale è originario quel bizzarro ed ispirato frater Benedictus de Cornetta, fascinatore di folle di giovani, ricordato da Salimbene de Adam (P. Camporesi, 1990, pp. 283-284), è attraversata nel 1400 dalla compagnia disciplinata dei Bianchi: la memoria dell’avvenimento venne affidata ad un affresco in via del Trivio, scomparso già ai tempi di Achille Sansi (A. Sansi, 1879, pp. 274-275), forse simile al dipinto di Cola di Pietro da Camerino in Santa Maria di Vallo di Nera. Nel 1426 e nel 1444 a Spoleto predica, opera miracoli e pacificazioni Bernardino da Siena (idem, 1884, p. 28), che lascia in San Simone la tavoletta con il monogramma del nome di Gesù entro il sole radiante (Pinacoteca Comunale di Deruta, 1992, p. 128), prototipo per le analoghe numerose immagini tuttora visibili in vari punti della città alta, dipinte su intonaci rilevati con contorno circolare, poligonale o mistilineo, scolpite, incise su targhe rettangolari o, ancora, dipinte entro stemmi progressivamente sempre più complessi, simili a grandi cartaglorie e agli stemmi capricciosi dell’araldica sei-settecentesca. Il monogramma del nome di Gesù venne adottato dai Gesuiti, semplificato nella grafia e corredato dai chiodi della Passione, mentre nel Settecento ritornò alla forma francescana grazie all’azione e alla predicazione di san Leonardo di Porto Maurizio e del beato Leopoldo da Gaiche.
Altre suggestive immagini sono affrescate nelle lunette e sulle facciate di chiese e delle sedi confraternitali. Del 1412 è il bellissimo affresco del Maestro della Dormitio per San Nicolò, dove la grande Maestà tardogotica è affiancata da Agostino e Nicola; l’Agnus Dei scolpito sull’architrave è una figura consueta a Spoleto, che ritroviamo ancora sulla porta di uno dei più antichi edifici del borgo San Gregorio e sull’ingresso delle monache di San Giovanni Battista, contrassegnato anche dalla nicchia con la Madonna fra il Battista e Caterina d’Alessandria, la protettrice di tante comunità femminili.
Una rara Madonna con Bambino entro mandorla, della metà del Quattrocento, adorna il portale di San Paolo inter vineas, un tempo affiancato da altre immagini, e quattrocentesca era la Madonna nella lunetta di San Lorenzo, sulla cui facciata risaltava un grande san Michele Arcangelo, ritratto da un pittore tedesco dell’Ottocento (L.C. Pickert, 1971, pp. 57-106).
Al 1591 risale il Salvatore sul fianco destro di San Domenico, datato e firmato da Perino Cesarei, che con ogni probabilità ha sostituito una più antica figurazione del Salvator mundi.
Maria compare a Spoleto nei vari aspetti conferitile dalla devozione comune e locale: Madonna di Misericordia, Madonna di Loreto, Madonna delle Grazie, Madonna della Stella, Madonna de lu puzzittu; e numerosi santi le si affiancano volta per volta: Benedetto, Anna, Gerolamo, Francesco, Giuseppe, Nicolò, Gregorio Prete, Sebastiano, Rocco.
Con la sensibilità della Controriforma fanno la loro apparizione le immagini del dolore di Maria, le Addolorate e le Pietà: collocate nella parte bassa della città, probabili tappe di percorsi processionali e manufatti d’indubbio valore decorativo, testimoniano della crescita del borgo, zona d’espansione della città fuori le mura più antiche, dove il tempio della Concezione accoglie nel 1605 l’immagine traslata della quattrocentesca Madonna della Piaggia (vedi il paragrafo di questa introduzione «La Madonna della Piaggia»). Notevoli le Addolorate di via della Posterna e di corso Garibaldi, probabilmente realizzate dallo stesso gruppo di artefici, una bottega di stuccatori e decoratori cui si debbono anche le inquadrature architettoniche delle edicole nei pressi di Porta Fuga, in via del Trivio e in via dei Fornari. Il recente restauro ha permesso di leggere l’iscrizione vergata sul retro della tavola custodita nella nicchia di corso Garibaldi: apprendiamo così che l’immagine fu dipinta «dall’illustrissimo signor Mancinelli», «ornata» dalla parrocchia di San Gregorio, benedetta dal priore di San Gregorio Sidoni, con il consenso del vescovo Locatelli e ammessa al pubblico culto il primo novembre 1789. Giovanni Battista Palettoni e Didaco Niccolini finanziarono l’edicola, realizzata da Camillo Campana.
Fuori Porta San Matteo, la cappelletta della Madonna di Loreto, con l’immagine della Madonna con Bambino, tradizionalmente attribuita a Jacopo Siculo e illustre per miracoli e per guarigioni, è inglobata nel santuario la cui prima pietra è posata alla presenza di un protagonista del concilio di Trento, il cardinale Cristoforo Madruzzo, più volte governatore di Spoleto. La Historia della Miracolosa Immagine della Madonna Santissima di Loreto fuor di Spoleto, del barnabita Ignazio Portalupi, ci offre uno spaccato della Spoleto cinquecentesca, impressionante anche là dove potremmo sospettare l’ombra della mistificazione. Negli stessi anni in cui si esplica la potenza miracolosa del sacro Chiodo conservato nella chiesa di San Domenico, allora dedicata al Salvatore, la sacra immagine lauretana spalanca gli occhi sulla folla che invoca il suo aiuto terrorizzata dal terremoto; opera guarigioni su infermi affetti da mali atroci, che la medicina attuale potrebbe interpretare come tumori intestinali, calcolosi, infiammazioni articolari, su lebbrosi, ipocondriaci, «malinconici», allucinati che hanno avuto contatti con l’«ebreo». Di tutta questa gente la Historia, estrapolandoli dagli atti del processo di riconoscimento della miracolosità dell’immagine lauretana spoletina, ci fornisce nome, patronimico, condizione sociale e provenienza geografica; miracoli e guarigioni vengono dispensati a muratori, fornaciai, frati, nobili, uomini e donne, interclassisticamente accomunati dalle malattie e dalle possessioni diaboliche, dall’essere finalmente toccati dall’intervento pietoso della sacra immagine, attorniata dai ceri votivi, dagli ex voto, dalle tavolette devozionali. Queste ultime nel 1621, secondo la testimonianza del Portalupi, erano ben 1200. Fra loro spiccava quella offerta nel 1580 da un illustre miracolato, il dotto domenicano Giovambattista Bracceschi, corredata dalla Testificazione, in cento versi latini, tradotti sul retro. Possiamo immaginare la tavoletta di padre Bracceschi simile all’ex voto di Fedra Inghirami, conservato nel Tesoro di San Giovanni in Laterano. Del patrimonio di ex voto della Madonna di Loreto non è rimasta traccia, ma alcune copie del dipinto di Jacopo Siculo testimoniano la devozione alla sacra immagine: l’affresco nell’androne di una casa in vicolo di Volusio e alcune tele seicentesche in Pinacoteca. Il culto spoletino della Madonna di Loreto sarà definitivamente riconosciuto dall’autorità papale nel 1696, con la solenne incoronazione dell’immagine. La Panegirica e Veridica Relazione, composta per quest’occasione dallo «Stordito», descrive minuziosamente la lunga e faticosa giornata di processioni, di visite a luoghi di culto e a monasteri, alla quale si sottopose il corteo religioso e civile, partito dal Duomo e recante l’Aureo diadema. Prima di imboccare lo stradone che conduce al Santuario, e dopo un percorso contrassegnato da gallerie arboree, da giardini e da fontane effimere, da apparati scenografici ricchi di simbologie vetero e neotestamentarie, il corteo rese omaggio alla venerata santa immagine, non meglio identificata e non più esistente, sul torrione di Porta San Matteo, adorna di un baldacchino e di un altare pensile (vedi il paragrafo di questa introduzione «La Madonna di Loreto»). Altre immagini vennero inglobate o traslate in chiese e oratori nei secoli XVI e XVII, come la Madonna degli Orti, la Madonna delle Grazie e la Madonna de lu puzzittu di Monterone. Casi particolari sono costituiti dalla traslazione, nel 1864, dell’edicola della pittrice suor Francesca Pianciani dal convento del Palazzo alla dimora famigliare (A. Sansi, 1869, p. 242), dagli affreschi del Campilli, o a lui attribuiti, staccati e ricoverati in pinacoteca comunale nell’Ottocento, e dalla targa con Cristo passo, proveniente dal fonte battesimale del Duomo, inserita nel 1578 sul portale del Monte di Pietà. La figura di Francesca Pianciani sarebbe forse da indagare più a fondo nelle fonti d’archivio, se non altro per le singolarità iconografiche del dipinto ora in palazzo Pianciani, sul cui sfondo compaiono il campanile e la parte terminale della facciata di una chiesa, forse San Gregorio de griptis, o del Palazzo, nell’aspetto precedente la ricostruzione settecentesca, e per la collocazione dell’altra edicola da lei affrescata, sulla via della Spina, nei possedimenti un tempo appartenuti alla sua prestigiosa famiglia.
Non del tutto assimilabili alla categoria delle edicole sono gli affreschi negli ambienti conventuali e negli appartamenti privati, spesso caratterizzati da iconografie legate a devozioni particolari. È il caso della nicchia col bellissimo Cristo portacroce nel convento di San Niccolò, uno dei più importanti dipinti del Trecento spoletino. È il caso della Madonna del velo nell’attuale casa Ciri in borgo San Gregorio: di modesta qualità, è però copia fedele del dipinto realizzato da Raffaello fra il 1511 e il 1512 in Santa Maria del Popolo a Roma, scomparso già nei primi decenni del secolo XVII, ma conosciuto attraverso numerose copie, fra cui due di Sebastiano del Piombo. Ancora più singolare è la Beata Vergine della Ghiara su un pianerottolo di palazzo Ridolfi in corso Garibaldi, copia dell’omonima immagine venerata a Reggio Emilia e dipinta nel 1573 da Giovanni Bianchi detto il Bertone. Di ambito spagnesco sono il dipinto in casa Pila nei pressi del Duomo e la bella nicchia in casa Montani, poi Mariani, in piazza Torre dell’Olio (B. Leonetti-Luparini, 1926, p. 235), esemplato sulle note Sacre Conversazioni di Giovanni Spagna, il cui gruppo della Madonna col Bambino ritroviamo in una nicchia dell’appartamento Metelli in via del Trivio e nell’appartamento Banchelli in via Campo de’ fiori, restaurato ed integrato da Filippo Mariani, singolare figura di decoratore, cui si deve anche la tavoletta datata 1944, di uguale soggetto, nell’androne di palazzo Lauri in via della Salara vecchia.
Nuove edicole vengono edificate, fra Cinquecento e Seicento, appena fuori città e nel territorio. Di origine agostiniana è sicuramente quella ai piedi di Colle San Tommaso, per la presenza dei santi Tommaso e Stefano, ai quali è in realtà consacrata la chiesa dell’importantissimo monastero urbano della Stella (B. Toscano, comunicazione orale). Seicentesca è la cappella sulla Flaminia vecchia, che inaspettatamente reca ancora infissa una tavoletta «Per Grazia Ricevuta» del 1870 (R. Quirino, 1987, p. 88).
Ai primi dell’Ottocento risale l’edicola delle Tre Madonne, in corrispondenza del nodo viario dal quale la via della Spina si distaccava dalla Flaminia, alla volta di Colfiorito (ibidem, p. 84). È una delle edicole più singolari e più interessanti del territorio spoletino. Fu eretta «da un bizzarro spoletino, certo Soldoni», secondo Angelini-Rota (1929, p. 127), sicuramente l’Antonio Soldoni ricordato da Sansi intonare il Te Deum al rientro dei Gesuiti in Spoleto nel 1831 (A. Sansi, 1886, p. 182: «una figura veramente goldoniana, che pochi possono essere que’ cittadini che non abbiano visto, nella seconda metà del secolo già inoltrata, andare ancora attorno in codino e calzoni corti […]»). Laureti riporta una lettera inviatagli da Sordini, in cui si parla di un Vincenzo Sordoni, ma non dovrebbero esserci dubbi che si tratti dello stesso personaggio rievocato da Sansi: «Loreto Vittori si costruì una Villa, anche a Spoleto, ed era posta a un miglio dalla città, lungo la via che mena a Foligno, nel luogo che l’ultimo de’ ‘codini’ visto qui, l’atletico Vincenzo Sordoni, colla triplice edicola da lui elevata all’antico imbocco della Piancianina, fece denominare le ‘Tre Madonne’» (P. Laureti, 1917).
L’edicola, dunque, dà il nome alla località tuttora conosciuta come le Tre Madonne. In una delle nicchie, ognuna rivolta verso gli antichi assi viari, è collocata una targa derutese di terracotta, con la Madonna col Bambino e cherubino modellata a rilievo, di un tipo molto diffuso in Umbria e su tutta la dorsale appenninica centro-settentrionale, fino al forlivese, più volte riprodotto anche in tempi recentissimi e derivato da un prototipo scultoreo di Benedetto da Majano (G. Chiuini, 1986, fig. 140; G. Busti, F. Cocchi, 1998, pp. 210-211). Ne troviamo altri esempi vicini, con poche varianti iconografiche, a Campello Alto, nel muro laterale dell’edificio prospiciente sul sagrato della chiesa, e alla Misericordia di Terzo San Severo, oltre che nel territorio trevano.
Fra il tardo Cinquecento e il Seicento sembrano essere state edificate le numerose edicole, per lo più in cattive condizioni, lungo la mulattiera principale e i sentieri di Monteluco, in corrispondenza degli antichi eremi, alcuni dei quali trasformati in ville nei secoli XIX e XX.
Un caso particolare è costituito dalle edicole quattrocentesche, tipologicamente uguali o simili, variamente disposte lungo o nei pressi del tratto della via Flaminia a sud di Spoleto, isolate o inglobate in edifici più grandi, con l’apertura di accesso a lunettone chiusa da un cancello in legno. In tal senso sono accomunate la Madonna del Carmine di Acqualacastagna, la cappella alle porte di Valdarena e la Presentazione di Acquaiura, ma se ne rintracciano esempi anche in Valnerina, come la Madonna delle Forche di Vallo di Nera. Per la maggior parte queste edicole sono state nuovamente decorate sul finire del Cinquecento e nel secolo successivo.
Nella piana a nord di Spoleto, edicole dall’architettura neoclassica e rococò, chiesuole apparentemente isolate nella vastità della campagna recuperata attraverso opere di bonificazione, contrassegnano e delimitano i confini delle proprietà nobiliari ed ecclesiastiche, consolidatesi fra Seicento e Settecento.
Sei-settecentesche e ottocentesche sono le piccole chiese lungo la via della Spina, racchiudenti venerate immagini dei secoli precedenti, dalla facciata tipicamente contrassegnata dalle due finestre ai lati del portale.
Nel corso del XVII secolo l’attuazione capillare del programma tridentino, avviata a Spoleto negli anni settanta del Cinquecento dal vescovo Pietro de Lunel, proseguì con il rifacimento della Cattedrale, con l’erezione della chiesa di San Filippo e con l’insediamento dei Gesuiti, ai quali venne assegnata nel 1621 la chiesa della Concezione. Entrarono così a far parte della lista dei patroni cittadini Filippo Neri e alcuni esponenti di prestigio della Compagnia di Gesù: Francesco Saverio, evangelizzatore dell’Estremo Oriente, e Francesco Borgia, generale della Compagnia, fra i protagonisti dei preliminari diplomatici che avevano condotto alla Lega santa e quindi alla vittoria di Lepanto. Alla predicazione servita sono collegate le Addolorate del borgo; e un quadro con la Mater Dolorosa faceva parte dell’arredo dell’osteria di San Gregorio, descritta nel 1647 dal protonotario Caffarelli, insieme con altre immagini: san Giovanni, santo Stefano, una Madonna con Bambino (AA.VV., 1985, p. 128). Ai Serviti, devoti di questa iconografia, si dovette la Madonna dei sette dolori che contrassegnava la porta minore, datata 1699 e soppressa nel 1801, vicina a quella di San Luca (ivi, p. 141). Nel 1673, infine, venne diffuso l’Ordine a stampa con cui si dispose la solennizzazione pubblica dell’Assunzione di Maria, Festa Titolare della Ducal Città di Spoleti (L. Fausti, P. V/5, f. 3).
La predicazione itinerante francescana venne rinverdita da san Leonardo di Porto Maurizio, presente a Spoleto nel 1747 (Gori, in Bibliotheca Sanctorum, VII, 1966, col. 1212). Sul suo esempio, il beato Leopoldo da Gaiche fondò il ritiro di Monteluco; e alla pratica attuata e diffusa da san Leonardo è senz’altro ispirata la Via Crucis del 1762 sul muro di cinta del convento di San Paolo inter vineas. Più tardi Leopoldo si misurerà con il simbolo della scristianizzazione e della laicizzazione, l’albero della libertà, che una compagnia di «soldati stranieri» e «di spoletini d’ambo i sessi», saliti sul Monteluco «per passare lassù una notte in crapule e di orge», aveva tentato di innalzare vicino al suo ritiro (P.V. Ceccacci, 1932, p. 19). Come molti altri religiosi, che rifiutarono il giuramento napoleonico, anche Leopoldo si rifugiò nelle campagne, e solo nel 1814 poté fare ritorno sul Monteluco, dove, l’anno seguente, terminò la sua esistenza.
La sconfitta pontificia del 1796 e l’avvicinarsi dei soldati napoleonici furono preceduti a Spoleto dal miracolo della Madonna della Modestia di casa Toni, che aprì più volte gli occhi pietosi sulla folla accorsa ai suoi piedi (A. Sansi, 1886, pp. 4-5), e dalla esposizione in Duomo della Santissima Icone (ibidem, p. 10). Quando finalmente le truppe francesi entrarono in città, il 5 febbraio 1798, ebbe inizio la trasformazione e l’adattamento di chiese e conventi a caserme e a quartieri militari: a San Simone, a San Luca, a San Domenico e alla Rocca vennero destinati i fanti, mentre la cavalleria venne sistemata alla Madonna di Loreto e a San Paolo. Qualche giorno dopo in piazza del Mercato fu eretto l’albero della libertà e ai suoi piedi fu bruciato il «libro d’oro», dove erano registrate le cariche del comune patrizio (ibidem, p. 18).
Anche Spoleto, con la tempesta rivoluzionaria, vide dunque venire meno «l’antica uniformità nella credenza e nella pratica» religiose (H.C. Puech, 1981, II, p. 169), uniformità cui infierirono colpi mortali la prigionia di Pio VI, evento che la cristianità sentì come un’immane tragedia, il Concordato del 1801 e la soppressione delle corporazioni religiose del 1810 (G. Penco, 1977, pp. 205-212).
Pio VII cercherà di rinsaldare le fila della compagine cattolica, con la sua opera di mediazione tra l’autorità imperiale e la collettività dei fedeli, riuscendo a garantire la libertà e la pubblicità del culto. Alla distanza, anche la perdita dei beni si rivelerà determinante nel conferire un volto nuovo alla Chiesa del XIX secolo, progressivamente sempre più autonoma nei confronti delle società profane, anche se ormai definitivamente messa a confronto con la irreligiosità e con la scristianizzazione non più solo dei borghesi e degli intellettuali, ma anche della gente di campagna e degli artigiani, fra i quali per altro avevano continuato a sopravvivere antichissime credenze e riti magici o parareligiosi (ibidem, pp. 215-224).
Così, è lo stesso Pio VII, sulla strada del ritorno a Roma dalla cattività francese, ad incoronare la Santissima Icone del duomo spoletino (A. Sansi, 1886, p. 90), proprio mentre si afferma la consuetudine di celebrare la festa di san Napoleone, coincidente con il giorno dell’Assunta (ibidem, p. 130).
Dopo la Restaurazione, interessi della Chiesa furono la riorganizzazione delle parrocchie, per esercitare un articolato controllo sulle masse dei fedeli, e il perfezionamento delle istituzioni assistenziali ed educative. Già nel secolo precedente si era manifestato in tutta la sua drammaticità il problema dell’infanzia abbandonata e del soccorso alle ragazze povere e sfortunate (V. Caldarelli, 1981-1982). L’assistenza pubblica spoletina, ospedaliera e caritativa, aveva in ogni modo una sua antichissima storia, collegata sia con le esigenze locali sia con il fatto di essere Spoleto una tappa dei percorsi di pellegrinaggio alla volta della Città Eterna e della santa Casa di Loreto. Nel 1804 Pio VII provvide dunque ad una nuova regolamentazione delle scuole pubbliche di Spoleto, con il Breve indirizzato al cardinale Locatelli. In seguito, nel 1824, Leone XII della Genga donò il suo palazzo cittadino perché vi s’insediassero le scuole elementari maschili e femminili, affidate ai Fratelli delle scuole cristiane e alle Maestre Pie Operaie di Sant’Agata alla Suburra, mentre l’educazione e l’istruzione nelle campagne toccarono ai Redentoristi, o Liguorini, di sant’Alfonso de’ Liguori (A. Sansi, 1886, p. 154); contemporaneamente fu riaperto il collegio dei Gesuiti di Santa Maria della Concezione.
In tale situazione, la pratica dell’erezione delle edicole urbane si direbbe ormai caduta pressoché in desuetudine. L’ovale all’imbocco di via Nuova propone l’iconografia del volto di Gesù conforme alla sensibilità pietistica propagata dalla predicazione parrocchiale e accolta da cerchie di fedeli riuniti in associazioni di nuova fondazione, come i Fratelli dell’oratorio notturno di Maria Vergine e di san Francesco Saverio.
Nell’Ottocento, secolo in cui la città muta il proprio aspetto per l’apertura della postale interna, con la conseguente risistemazione di vari luoghi, alcune edicole sono rammodernate con l’inserzione delle stampe realizzate da Augusto Marchetti, su disegno di Gerolamo Leoncilli, diffusissime anche nelle case private d’ogni censo e nelle botteghe, modello per le numerose targhe in terracotta che, nel 1885, commemorano il settimo centenario della donazione dell’antica immagine: le ritroviamo non solo nelle vie cittadine, negli androni e sulle scale di case e palazzi, ma anche sui muri di cinta di ville padronali e di cimiteri del contado.
La devozione alle anime purganti, al sacro Cuore di Gesù e di Maria, a sant’Anna, alla Sacra Famiglia, stimolata da Leone XIII e predicata da don Luigi Bonilli, è promossa dalla circolazione delle immaginette, che contribuiscono a divulgare anche la devozione a santa Maria della Stella, immagine traslata nel 1862 nel santuario per lei realizzato presso Montefalco.
Il Novecento s’inaugura con le croci e con i tondi che dedicano il nuovo secolo a Cristo risorto; l’imagerie mariana si arricchisce delle Madonne di Fatima e di Lourdes, le cui iconografie appaiono in statuette di ceramica, di scagliola, di gesso, nei santini. Impressionante è la diffusione, in tutt’Italia d’altronde, della devozione alla Madonna del Rosario e delle sue immagini, all’indomani della costruzione del santuario di Pompei, voluto nel 1876 dall’avvocato Bartolo Longo (1841-1926), a sua volta ritratto in stampe, fotografie e disegni ricalcati, collocati fra le immagini dei pantheon domestici.
I procedimenti semiartigianali e industriali continuarono tuttavia a diffondere immagini in ceramica, come i «tondi robbiani», ovvero copie, riproduzioni e libere trasposizioni di opere di Andrea della Robbia e della sua bottega, le statuette di scagliola dell’Immacolata nelle specie apparse a Fatima e a Lourdes. Edicole ed altri segnacoli vennero innalzati per iniziativa di privati e di istituti religiosi in occasione degli anni giubilari e delle missioni; edicole e cappelle più antiche furono spesso rinnovate, anche nelle campagne, con la scialbatura delle pareti e con la sistemazione di immagini a stampa e fotografiche, raffiguranti la Madonna del Rosario, il Sacro Cuore di Gesù, sant’Anna, la Sacra Famiglia, i santi protettori dell’adolescenza e della gioventù studiosa, i santi e i beati dell’assistenza ai poveri, agli orfani e ai bisognosi.
Un caso assolutamente particolare è costituito dalla celeberrima Madonnina, che vediamo in una stampa nella nicchia alle porte della frazione Sant’Anastasio, oltre che in ancora più recenti targhe di ceramica smaltata. L’immagine, elaborata nello studio fotografico Alinari di Firenze, è tratta da un dipinto di Roberto Ferruzzi (1854-1934), esposto nel 1897 alla seconda Biennale di Venezia. «È l’immagine sacra più familiare a generazioni di italiani del secolo appena passato. Capoletto, santino, biglietto di auguri e partecipazione, ne ha accompagnato momenti quotidiani e riti di passaggio» (M. Ferretti, 2003, p. 228). Il dipinto venne acquistato da Vittorio Alinari, dell’illustre famiglia di fotografi fiorentini, che con l’ausilio della tecnica fotografica seppe creare una sorta di nuovo «originale» rispetto al dipinto di Ferruzzi, «facendone traboccare un’alluvione di derivati, fino a perderne il controllo» (idem). Una fotografia del 1899, infatti, «ci mostra al lavoro l’intera ditta Alinari: in fondo, sotto una tettoia, davanti alla macchina fotografica, riconosciamo la ben nota ‘Madonnina’, forse nella stessa cornice con cui era comparsa alla Biennale veneziana del 1897. È però un altro dipinto rispetto a quello che abbiamo sempre visto riprodotto: ha lo sviluppo orizzontale. Cambia dunque il rapporto fra figure e formato, fra ambientazione naturale e figure. Fu Vittorio Alinari a sforbiciarne le parti laterali, riportandolo al più consueto sviluppo verticale dell’immagine di devozione. Senza dare l’impressione del ‘particolare’ fotografico, richiuse il campo figurativo attorno all’abbraccio delle due figure […] Perché diventò tanto popolare? […] Il fatto che non vi filtrassero ricordi di sapore medievale, o legati al Rinascimento pio, può averla fatta entrare in una combinazione fortunata, al punto d’incontro con una sensibilità religiosa che aveva visto il tramonto della più tipica marcatura del Cattolicesimo ottocentesco, quella di suggestione medievale» (idem).
La stampa e i sistemi di riproduzione fotografica divulgano anche a Spoleto i prodotti dell’editoria e della propaganda cattolica, fra i quali compaiono le nuove versioni del Memento Mori e del Giudizio Universale: le stampe a colori che riproducono le età dell’uomo e della donna cristiani, la parabola della loro esistenza dalla culla alla morte, dall’infanzia alla vecchiaia; quelle in cui il corteo dei piccoli innocenti, della suora infermiera, della vedova rassegnata, dei buoni soldati e dei buoni parroci si avvia verso la Gerusalemme Celeste; verso l’inferno si dirige l’altro corteo, con il soldato beone, il negro col suo feticcio ligneo, i levantini lussuriosi, le ballerine, i giocatori gaudenti e le entraineuses. I santini, che spesso riproducono celebri opere d’arte, arricchiscono i tabernacoli di quartiere e dei vicoli con i santi protettori delle famiglie, e a loro è affidata la divulgazione del culto a santa Rita, al patrono Ponziano, all’Icone, alla beata Angelina clarissa del monastero del Palazzo, a san Gabriele dell’Addolorata, a santa Lucia Filippini, alla Madonna della Piaggia, a Maria Santissima Regina degli Apostoli «venerata nel Seminario Arcivescovile di Spoleto», alla Pietà della confraternita filippina di Maria Santissima Addolorata. Le preghiere sul retro impetrano protezione dai terremoti, dalle guerre in corso, dalle sciagure, secondo un formulario generico e stereotipato, tant’è vero che due di loro, rivolte rispettivamente all’Icone e alla Madonna della Piaggia, si concludono con la medesima formula: «Preservaci dalla colpa e da ogni sciagura e fate piovere su noi ogni celeste benedizione, sicché dopo aver venerato con la più fervorosa pietà la Vostra cara effigie qui in terra possiamo godere la bellezza ineffabile del Vostro volto in Paradiso. Così sia. Tre Ave e un Gloria». I santini, infine, vengono pubblicati in memoria «delle feste di ringraziamento per la vittoria e per la pace» all’indomani della prima guerra mondiale, come «ricordini» per le prime comunioni, per le ordinazioni sacerdotali, per le missioni e per i ritiri spirituali dei gruppi di Azione Cattolica.
Mentre sulle strade di campagna e di montagna lapidi e monumenti con i principali simboli della pietà cristiana tramandano il ricordo di episodi di guerra, di caduti, di eroi e martiri delle guerre mondiali e della Resistenza, in città tabernacoli e targhe sulle facciate delle case private, rendono pubblici i lutti famigliari. Altre immagini rievocano, pur nel loro modesto aspetto, momenti cruciali della storia recente, come le immagini della Madonna pellegrina, al cui culto venne affidata la mobilitazione popolare in occasione delle elezioni politiche del 1948, una delle quali esisteva fino a poco tempo fa nell’androne della casa al n. 111 di via Monterone.

Riteniamo, infine, opportuno riservare una trattazione particolare alle venerate immagini della Piaggia e di Loreto, significative del fenomeno della traslazione delle immagini sacre e strettamente connesse con la storia di Spoleto letta da quel punto di vista folklorico e della storia della mentalità, ancora in attesa di una più adeguata conoscenza e divulgazione.

La Madonna della Piaggia. Con la cinquecentesca Madonna di Loreto, la Madonna della Piaggia è la più illustre immagine sacra spoletina. Fu protagonista di fatti e di miracoli che portarono all’instaurarsi del suo culto particolare, al riconoscimento dei prodigi da lei operati, alla erezione del santuario destinato ad accoglierla, e all’estensione di relazioni e panegirici relativi alle sue vicende. L’affresco mariano che si ammira nel tabernacolo barocco sull’altare maggiore della chiesa della Concezione, offerto nel 1625 da Bernardino de Filippis, è una Madonna lactans tipica del tardogotico spoletino, realizzata nel primo decennio del XV secolo da un pittore della stessa generazione del Maestro dei Calvari, il frescante della cappella della Maddalena in San Domenico, e del Maestro della Dormitio. L’immagine ha conosciuto una versione «purgata» in una incisione ottocentesca, riprodotta in santini di pubblicazione anche recente.
Le sue vicende, narrate nella Breve Relazione alla prodigiosa immagine di Maria SS. detta della Piaggia, del 1833, ma verosimilmente condotta su testi precedenti, sono comuni a molte altre immagini mariane, racchiuse nel corso del Cinque-Seicento in un santuario loro dedicato, ufficialmente a riconoscimento del culto spontaneo loro tributato, ma anche per provvedere a misure di ordine pubblico. Infatti, la cappella che la custodiva originariamente sorgeva nei pressi degli orti di San Nicolò, nella zona detta la Piaggia, corrispondente all’attuale imbocco di via del Trivio e della scalinata che conduce in via Cecili. Il luogo era frequentato da «donne di mala vita, la malvagità delle quali formava un deplorabile contrapposto all’immacolato candore di quella Vergine, che ivi appresso si venerava».
I suoi primi miracoli furono la restituzione della vista a una cieca e la resurrezione di un bambino morto, posto sull’altare della cappella, avvenuta alla presenza della giovane Eutilia, «pia zitella» che dedicherà l’intera esistenza alla devozione per la Madonna della Piaggia, la quale per sua bocca pronuncerà rivelazioni e insegnamenti. Eutilia assistette nel 1540, insieme con Margherita, altra «donna piissima», al pianto della Madonna: «Voleva forse la Madre SS.ma significare con quel pianto il deplorabile stato, in che la S. Chiesa allor si trovava per l’eresia di Lutero, e per le dissensioni, che ardevano fra i Principi cristiani, ond’era assai travagliata».
Le lacrime vennero raccolte in un panno, che «servì dapoi d’instrumento di guarigioni istantanee ottenute da quegl’infermi, ai quali veniva applicato».
In seguito la sacra immagine venne insultata e percossa da un giocatore, poco dopo giustiziato con l’impiccagione per aver commesso un omicidio. Di segno contrario il miracolo operato su Muzio Cometa, condannato anch’egli all’impiccagione. Al momento dell’esecuzione l’innocente Muzio si raccomandò alla Madonna della Piaggia, e il carnefice di repente sorpreso da straordinario terrore, scese precipitosamente giù dalla scala, e fuggendo si nascose in modo, che non fu possibile per allora ritrovarlo.
Ottenuta pertanto la grazia, Muzio Cometa appese nella cappelletta il crocifisso «che i confortatori aveangli dato in mano nello accompagnar che faceanlo al supplizio», e offrì, finché visse, l’olio per la lampada che ardeva davanti all’immagine; prima di morire «fece una donazione, onde dì e notte perpetuamente si mantenesse la detta lampada».
«Furono poscia sì frequenti le grazie di questa Immagine portentosa in liberare coloro che la invocavano, da febbri, da storpiamenti, da sommersioni, dalla furia di bestie inferocite, da precipizj, da colpi de’ nemici, e da molti altri evidenti pericoli di morte, che si proseguì per molti anni a celebrare la Festa dei miracoli di questa Madonna ai 26 di aprile, con Indulgenza plenaria conceduta sino da Paolo V».
Nel 1591 la cappelletta venne ampliata dalla congregazione dei Giovani nobili di Spoleto, diretta dal cappuccino Pacifico Lattanzi, congregazione che originariamente era stata ospitata nella chiesa di San Gerolamo e si era poi trasferita a Santa Lucia di Monterone «avendo eletta per loro avvocata la Beatissima Vergine sotto il titolo della Concezione sua immacolata», conformemente ad uno dei tratti più caratteristici della chiesa riformata, la dedicazione di congregazioni e confraternite a concetti teologici. Pochi anni dopo, nel 1594, ebbe luogo la posa della prima pietra del santuario destinato ad accogliere l’immagine traslata, portato a termine undici anni dopo, con il sostanzioso contributo offerto dal nobile Bernardino de Filippis, particolarmente legato all’ambiente gesuitico romano: «[…] venne la detta Chiesa intitolata la Concezione della Vergine, non già perché sia tale mistero della Immagine rappresentata, ma perché la Confraternita addetta al culto dell’immacolato Concepimento di Maria ebbe grandissima parte in questa fabbrica, e seguitò ad uffiziarvi per molti anni».
La congregazione dei Giovani si adoperò inoltre ad accogliere i pellegrini in occasione del Giubileo del 1600, prendendo in affitto «alcune case vicino alla Cappella della Piaggia».
Contrassegnata da eventi miracolosi fu anche la traslazione dell’immagine, avvenuta nel 1605: al primo colpo dato dagli operai per staccarla dal muro della cappelletta, essa si sporse tutta in fuori. Le maestranze in verità avevano espresso l’opinione che sarebbe stato difficile distaccarla senza danneggiarla, ma furono incoraggiate a portare avanti la «impresa dalla stessa Divina Madre, la quale per mezzo della piissima Eutilia mandò loro a dire che non dubitassero della felice riuscita; mettessero pur francamente le mani all’opera, attesoché Ella da se medesima si sarebbe mossa».
L’immagine imbracata e incassata fu quindi posta su un ponte di legno che non ne resse il peso; nel crollo rimase coinvolto il capo mastro Nicolò, che però non riportò alcuna conseguenza, avendo invocato nella caduta l’aiuto della Madonna della Concezione: «Lieto per la ricevuta grazia tosto ne vide un’altra. Scorse la Sacra Immagine, che supponeva già caduta, e ridotta in mille pezzi, dondolare per l’aria maravigliosamente sostenuta da una debolissima fune».
Il 5 agosto finalmente l’immagine venne collocata sull’altare maggiore della chiesa e venti giorni dopo «fu scoperta al pubblico coll’intervento di Mons. Vicario, del Magistrato, e della maggior parte degli Ecclesiastici; per tacere del popolo innumerabile, che vi accorse. Fu fatta una salva di mortaj, suonaronsi tutte le campane della Città, e nell’atto dello scoprimento, una fanciulletta di nove anni cominciò impaurita a dire che vedeva il Demonio fremere in un angolo della Chiesa, essendo costretto il perfido spirito ad arrabbiare in udire i trionfi della Madre della Purità in quella contrada, in cui fin’allora con assoluto dominio fomentate avea le più sconce scelleratezze».
Il 1620 è l’anno della morte della novantaduenne Eutilia, colei che aveva dedicato tutta la sua esistenza alla Madonna della Concezione, alla sua «Mamma». La «piissima» Eutilia, cui la sacra effigie aveva mosso il capo per confermarle la conclusione di una pace politicamente vantaggiosa per Spoleto, nel 1618 aveva avuto la rivelazione che il santuario sarebbe stato dato in cura ai Gesuiti, cosa che avvenne nell’agosto 1621. Ad onor del vero, bisogna dire che la venuta dei Gesuiti a Spoleto ha una sua storia, in cui buona parte hanno aneddoti di carattere tutt’altro che devoto, gustosamente riferiti da Achille Sansi, collegata da una parte alla storia delle scuole cittadine, dall’altra alle vicende di cui la Compagnia di Gesù fu protagonista ed oggetto nei secoli XVIII e XIX.
Grazie ai finanziamenti assicurati da Bernardino de Filippis, i lavori per il completamento della decorazione proseguirono nel 1622, con il contratto per la realizzazione dell’altare maggiore stipulato con il carrarese Santi Ghetti (†1656), che nel 1624, a sua volta, volle il giovane Giovanni Serodine (c. 1600-1630) a decorare il presbiterio (S. Corradini, 1979).
Infine, nel caso della Madonna della Piaggia così come in altri, quello che importa notare è il fatto che il riconoscimento ufficiale di un culto locale e la costruzione di un santuario precedono di non moltissimo tempo e accompagnano la caduta della tensione nei riguardi dell’immagine sacra veneratavi e della sua aura miracolistica, preludendo alla precoce trasformazione del santuario in luogo ad altro fine adattato. Nel corso del XIX secolo, infatti, la chiesa della Concezione venne parzialmente adibita a magazzino militare e quindi comunale; analoga sorte ha seguito la attigua casa dei Gesuiti. Solo di recente la chiesa è stata interamente restituita al culto, rivalutata nei suoi aspetti architettonici ed artistici, riguardanti, questi ultimi, i bellissimi ed importantissimi affreschi di Giovanni Serodine (B. Toscano, in Pittura del ’600 e ’700. Ricerche in Umbria, 1980, pp. 55-64; idem, 1988, p. 369; G. Papi, 1988, p. 887).

La Madonna di Loreto. La tradizione vuole che l’immagine sia stata dipinta da Jacopo Siculo nel 1538, su disposizione di Giacomo di Tiberio Spinelli, devoto della Madonna lauretana, che per grazia ricevuta voleva realizzare una cappella ad imitazione della santa Casa. L’affresco venne completato da un intervento miracoloso e Jacopo tentò per tre giorni di trarne una copia, senza riuscire nell’intento. Giacomo Spinelli provvide perché sotto alla cap-pella si ricavasse un ambiente che assegnò ad un eremita, «incaricato della cura del luogo»; morendo nel 1561, dispose che nella cappella si celebrassero quattro messe al mese, oltre che l’otto settembre, giorno della natività della Vergine, e nelle feste di san Sebastiano e di sant’Antonio, le cui immagini fiancheggiavano originariamente la Madonna con Bambino incoronata da due angeli.
La miracolosità della Madonna lauretana continuò ad esprimersi con la incorruttibilità dei fiori che l’eremita disponeva sul suo altare. Ma solo nel 1571 si esplicò in tutta la sua potenza: il 21 aprile aprì e mosse gli occhi sulla folla accorsa ad invocare il suo aiuto, terrorizzata dal terremoto. All’evento erano presenti il vescovo di Spoleto Fulvio Orsini, sua nipote Emilia e Solertia Bartolacci, che assisterà ad altri fenomeni analoghi. Fu lo stesso Fulvio Orsini ad avviare poco dopo il processo per il riconoscimento ufficiale della miracolosità dell’immagine, la cui fama si era accresciuta all’indomani di un esorcismo operato alla sua presenza nel maggio dello stesso anno, durante il quale la Madonna aveva nuovamente aperto gli occhi ed era diventata rossa in volto. Nel frattempo, alcune lettere di un non meglio identificato personaggio, che avanzavano dubbi sull’autenticità dei miracoli ed esprimevano preoccupazione per i disordini provocati dal concorso delle folle, indussero Pio V a proibire l’accesso alla cappella e l’offerta di doni, di tavolette votive e di voti alla sacra immagine. Il Papa approvò la devozione all’immagine solo dopo l’esame degli atti processuali autentici, recatigli da Cosimo Lauri, priore dell’antichissima collegiata spoletina di San Pietro. Pochi giorni dopo, un mortale colpo apoplettico punì colui che aveva osato dubitare della «Pietà» e della «Liberalità» della Vergine.
Dobbiamo alla Historia Della Miracolosa Immagine della Madonna Santissima di Loreto di Ignatio Portalupi, del 1621, la divulgazione dei miracoli operati dalla Madonna di Loreto spoletina. Le sue virtù taumaturgiche si rivolgono nei confronti di «infermi di tuta la persona», come Caterina Lappantina, affetta da venti anni da «male del corpo» e da «ipocondria», nei confronti di idropici, di «Curvi», di «Paralittici», di «Ciechi, ò infermi di mal d’occhi», come Martia, figlia di Pietro Borgognone, cuoco di Pio V, condotta da Roma a Spoleto dalla zia Leonarda Siluri. Incontriamo ancora dei muti che riacquistano la parola, «diversi stroppiati, attratti, ò in altre guise impediti nelle braccia, ò mani», come Filippo di Manzarello dal Poggiuolo e la settantenne Innocenza Leoresia, che porta in omaggio alla Vergine un braccio di cera, con altre offerte, e recupera l’uso delle braccia. Vengono risanati il calzolaio Annibale di Bonifacio da Piediluco, che non può espeller le feci, né orinare ed è affetto anche da progressiva cecità, e Francesco Angelo di Giulio Cesare da Montefalco, affetto da «doglia di fianco» e da «strettura d’urina». Nel 1575 riacquista «la sanità e il passo» il milanese Giovanmaria Briago, «che aveva perso le gambe dal ginocchio in giù, e andava con le mani, e natiche».
Simone di Lorenzo, Antonio di Zaffino e Tommaso di Marsilio, tre fornaciai di Pissignano, «invocando la Beata Vergine in una fornace di calce bollente, nella quale erano caduti, ne escono senza offesa». A lei si rivolge nel 1580 anche il domenicano Giovambattista Bracceschi: malato nel convento di San Salvatore, le chiede soccorso e lo ottiene, per cui le dona una tavoletta votiva che lo ritrae in ginocchio ai suoi piedi, corredata da cento versi latini in distici elegiaci, tradotti sul retro in terza rima, che sono la «Testificazione de i Miracoli operati da questa Madonna di Spoleto».
Il capitolo più interessante dell’Historia Della Miracolosa Immagine della Madonna Santissima di Loreto è però quello dedicato a «molti indemoniati, i quali per mezzo de gl’esorcismi, nella Santa Cappelletta furono liberati».
Scrive il Portalupi: «Che il numero di questi havesse quasi dell’infinito, lo affermano tutti gli Spoletini, che all’hora vivevano, e si può cavare in qualche modo dalle tavolette votive, che sono appese intorno alla Cappelletta, buonissima parte delle quali sono poste in memoria di diversi indemoniati, che co ’l favor della Vergine ottennero la loro liberatione».
Nel corso degli esorcismi le indemoniate, perché per la maggior parte si tratta di donne, rigettano le fatture.
Nobile, moglie di Benvenuto da Campello, sputa una palla di cera avvolta nella carta.
Sabina di Pierfilippo di Buonacquisto «gettò poi con dolor molto intenso, di modo che le parve che gli cavassero gli occhi, la fattura per bocca, che era un fil di paglia, con terra e capegli, il tutto mescolato insieme».
Martia di Porcaria «rigettò per bocca una palla di cera ammassata, con molti peli neri».
Singolari i casi di Michelangiola da Sossimano e di Sabbatina, moglie di mastro Giovannino Lombardo da Todi. Michelangiola, indemoniata da sette anni, durante l’esorcismo «a guisa di pecora belava, muggiva come i buoi e i Tori, urlava come un Lupo, ragghiava come un’Asino, e sopra tutto, come se fosse suo proprio, faceva di continovo il verso del gallo». Sabbatina «parlava di diversi linguaggi, come Bergamasco, Francese, Spagnolo, e latino».
Un’atmosfera di terrore pervade i casi di Lucida, moglie di Girolamo da Todi, indemoniata per avere incontrato un frate bambino trasformatosi all’improvviso in demone, e di Perfetta Gentile da Montesanto, che già si era salvata dall’annegare nel Vigi invocando la Madonna spoletina, indemoniata per essersi imbattuta nel fantasma di un uomo armato, mentre di notte si recava a casa di un’ebrea. L’esorcismo rivela in lei la presenza di due demoni, Scipione e Febio, nomi di due uomini recentemente assassinati a Montesanto.
Decisamente catartica è la conclusione dell’esorcismo condotto su Maddalena De Domo, moglie prima di Vitale Vitali e poi di Tommaso Martani, indemoniata da trentatré anni: all’uscita dei demoni si spegne la candela dell’esorcista e prendono a suonare le campane di Sant’Agata.
Miracolose sono anche alcune fra le innumerevoli tavolette votive poste sulle pareti della cappelletta e altri miracoli sono «Operati per mezzo dell’Acqua vicina alla Cappelletta della Madonna», scaturita nel 1584, fra i quali la guarigione della quarantenne Lorenza di Pascolina da l’Acera, nata lebbrosa «ovvero come in questi paesi suol dire, infetta del mal di S. Lazzaro».
Nel 1572 il sacello fu visitato dal cardinale Pietro De Lunel, che constatò la dovizia dei donativi, conservati nella cattedrale e da devolvere per la costruzione di un santuario in cui inglobarlo. Le fondamenta del santuario vennero gettate il 14 settembre dello stesso anno e il 4 ottobre fu posata la prima pietra, alla presenza del cardinale di Trento Cristoforo Madruzzi, del governatore Guido Ferreri, cardinale di Vercelli, del vescovo Fulvio Orsini e dei vescovi di Assisi e di Nocera. La fabbrica del tempio terminò nel 1577, anno in cui Gregorio XIII approvò la festa del Giorno della Manifestazione de’ Miracoli, stabilendola al 21 aprile, in memoria dello straordinario avvenimento di sei anni prima, con concessione dell’indulgenza plenaria; nel 1598 Clemente VIII concederà l’istituzione della fiera da tenersi in quello stesso giorno e nei sette successivi.
La cura del santuario veniva intanto proposta prima ai Teatini poi ai Francescani; al loro rifiuto essa fu momentaneamente affidata ai preti secolari.
Il 14 luglio 1584, giorno di san Bonaventura, illustre devoto della Madonna, si manifestarono gli spettacolari eventi della discesa del globo infuocato sul sacello e dello scaturire della fonte miracolosa, analogamente a quanto verificatosi nei luoghi lauretani di Loreto e di Sanseverino, il cui santuario della Madonna dei Lumi era tenuto dai Barnabiti. Ed è proprio ai Chierici regolari di san Paolo, ovvero ai Barnabiti, che venne affidata la cura del santuario spoletino, il 6 febbraio 1604, con l’approvazione della santa immagine, che aprì gli occhi sul generale della congregazione, Cosimo Dossena, mentre stava celebrando messa nella cappella. Il generale dei Barnabiti era venuto a Spoleto per «vedere e riconoscere il Luogo». Da questo momento il santuario si arricchisce di altri donativi, offerti dalle famiglie spoletine, che permisero il completamento degli arredi e delle decorazioni, fra cui le tre note tele di Giovanni Baglioni. Nel 1608 si posò la prima pietra per la fondazione del Collegio. Dodici anni dopo, su istanza degli stessi Barnabiti, Paolo V concesse la liberazione di un’anima del purgatorio con le messe di requiem da celebrarsi nella cappella ogni lunedì, nel giorno della commemorazione dei defunti e nell’ottava corrispondente. L’anno successivo, il 1621, il vescovo Lorenzo Castrucci consacrò la chiesa e l’altare privilegiato della sacra immagine, che continuò a essere oggetto di particolarissima venerazione: il padre barnabita tedesco Giuliano Demmers le donò nel 1627 una preziosa veste argentea, destinata a ricoprirla nelle sue principali festività; nel 1658 padre Alessandro Borgognoni le fece pervenire da Vienna un calice d’argento tempestato di diamanti e di perle; donativi in cospicue somme di denaro giunsero dalla principessa Maria di Savoia; nel 1682 Francesco Collicola fece ornare a sue spese il presbiterio, mentre quattro anni dopo la Marchesa Spada fece coprire con damaschi le pareti interne della cappella.
La sacra immagine fu incoronata il 20 maggio 1696, con solenni pompa e celebrazione presiedute dal delegato apostolico Agostini, riparando finalmente la negligenza dimostrata nel 1688, quando già era stata concessa l’autorizzazione papale all’incoronazione, che però non aveva avuto luogo. La negligenza era stata «punita» – secondo quanto affermato nel settecentesco Breve Compendio della storia […] Intorno la Origine, e Progressi della Miracolosissima Immagine detta La Madonna Di Loreto – con il terribile terremoto del 4 agosto 1695, ma l’intervento della pietosa Madonna lauretana ne aveva mitigato le conseguenze, soccorrendo il popolo spoletino implorante. Nel 1697 la corona venne trafugata e non si sa se l’attuale sia l’originale. Infine, nel 1701 la cappella fu rinnovata con marmi pregiati.
Come il culto per la Madonna della Piaggia, anche quello per la Madonna di Loreto fu precocemente ridimensionato. Appena un secolo dopo l’incoronazione dell’immagine, ai Barnabiti si avvicendarono gli Agostiniani, che avevano lasciato l’antica sede di San Nicolò, danneggiata dal terremoto del 1767; nel 1798 la chiesa e tutto il complesso accolsero le truppe francesi.
Le successive vicende ottocentesche e novecentesche sono contrassegnate dalla trasformazione della chiesa e del convento volta per volta in caserma, in istituto agrario e, infine, in ospedale civile.
La chiesa, anche se recentemente restaurata, ha bisogno di altri interventi che possano meglio valorizzarla nel suo valore monumentale e per le opere d’arte che vi si conservano.

Spoleto - Fabbreria, strada della Spina [SPO093]
Spoleto – Fabbreria, strada della Spina [SPO093]
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Spoleto - Fogliano, castello [SPO096]
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Spoleto - Le Cese, ex chiesa parrocchiale [SPO097]
Spoleto – Le Cese, ex chiesa parrocchiale [SPO097]
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Spoleto - Madonna di Lugo [SPO039]
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Spoleto - Maiano [SPO098]
Spoleto – Maiano [SPO098]
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Spoleto - Maiano [SPO099]
Spoleto – Maiano [SPO099]
710 1024 Edicole sacre. Nel territorio della Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano

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Spoleto - Meggiano [SPO100]
Spoleto – Meggiano [SPO100]
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Spoleto - Meggiano [SPO101]
Spoleto – Meggiano [SPO101]
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Spoleto - Monte li Rossi [SPO105]
Spoleto – Monte li Rossi [SPO105]
680 1024 Edicole sacre. Nel territorio della Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano

EDIFICIO DESCRIZIONE Nicchia rettangolare inserita nella parete di un’abitazione privata con scala esterna DATAZIONE XVI secolo STATO DI CONSERVAZIONE Pessimo IMMAGINE ICONOGRAFIA Madonna col Bambino e Santi; sull’intradosso sinistro è…

Spoleto - Monte li Rossi [SPO106]
Spoleto – Monte li Rossi [SPO106]
688 1024 Edicole sacre. Nel territorio della Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano

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Spoleto - Montebibico [SPO102]
Spoleto – Montebibico [SPO102]
680 1024 Edicole sacre. Nel territorio della Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano

EDIFICIO DESCRIZIONE Edicola che orna la parte verso la valle, fuori le mura, di un edificio di probabile destinazione religiosa, forse una sede confraternitale o oratoriale DATAZIONE XVI secolo IMMAGINE…

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