A Castel San Giovanni, fino a pochi anni fa, il 25 aprile, festa di san Marco, il sacerdote si recava ai quattro punti cardinali del paese per impartire la benedizione ai campi e ai prodotti della terra: in processione, accompagnato quasi solamente da donne, perché in una società rurale il giorno feriale consentiva agli agricoltori poca libertà dalla fatica. Sulle capitagne erano infisse croci preparate con le foglie del «giglio di sant’Antonio».
I quattro luoghi, simmetrici e quasi equidistanti, sulle strade principali che spiccandosi dall’anello stradale del castello conducevano in diverse direzioni, coincidevano con incroci segnati da venerate presenze del sacro: una chiesa e tre edicole.
Le quattro strade storiche sono tra le cinque indicate nello statuto comunale di Castel San Giovanni, per le quali si danno prescrizioni di manutenzione: «via qua itur per ripam fossi dicti castri circhum circha dictum castrum, via qua itur versus Botontam, via qua itur versus molenina Trevii, via qua itur versus villam, via qua itur versus Sanctum Angelum» (in ASCT, Arch. tre chiavi, B 7, n. 91, 1432, sett. 18, c.15v).
A nord era la Madonna del Carmine, sull’incrocio con la strada dei molini di Trevi o della Porcaria trebana, così detta perché congiungeva gli insediamenti rurali ricchi d’animali, riuniti nel «terziero del piano» dell’amministrazione medievale trevana.
Per inciso, l’espressione «Porcaria trebana» è in P. Sella 1952, per indicare le decime del 1333 di S. Ioannes de Porcaria Trebana; è anche adottata dal Natalucci (1985): la «Via delle Porcarie» congiungeva San Lorenzo, Picciche, San Giovanni (p. 277), e esplicitamente per San Giovanni denominata «Balia delle Porcarie» (p. 290).
A est un’edicola, distrutta nel 1963 a causa dell’allargamento della strada per Beroide, segnava l’incrocio della strada della Botonta per la chiesa campestre di Sant’Anna, prossima al confine di Castel San Giovanni, affollatissima il 26 luglio dalle puerpere del circondario. Il vocabolo Botonta, legato significativamente all’area di confine tra i distretti di Trevi e Spoleto, s’incontra nei rogiti quattrocenteschi di compravendite, nel decreto di confinazione del Castrum Sancti Ihoannis (1431), nei documenti della curia pontificia riguardanti la vertenza, per questo territorio, tra Trevi e Spoleto.
A sud la Madonna con Bambino e santi, al vocabolo Villa, presiedeva il trivio della strada che da Castel San Giovanni si dirigeva verso Beroide e verso San Martino e Spoleto.
A ovest, davanti alla chiesa di Sant’Angelo, la strada si divideva per La Bruna-Castel Ritaldi e per Picciche di Trevi.
Questi punti, situati a poche centinaia di metri dal castello, dal forte richiamo religioso nella vita quotidiana della popolazione, insieme al «giro dei fossi» e alla «strada di Sant’Angelo», costituivano luoghi privilegiati sui quali, a seconda delle ricorrenze religiose, si svolgevano frequenti processioni.
La pratica devozionale delle processioni che si svolgevano a Castel San Giovanni, regolarmente fino a qualche anno fa, è documentata da don Filippo Benedetti Valentini (1873), rettore della parrocchia dal 1858 al 1882, il quale elenca e descrive 20 processioni annuali, alcune da ripetersi ogni mese, per alcune indicandone i percorsi.
Se le altre località e frazioni del comune di Castel Ritaldi non hanno, con siffatta simmetria planimetrica, la presenza d’immagini sacre, identica se ne riscontra la collocazione in punti cruciali dell’antica viabilità del territorio.
Le edicole sono collocate nelle piazze, incorporate nelle abitazioni, ricavate nelle loro pareti o a esse appoggiate, poste nei crocevia: ovunque è questa evidente connotazione di una diffusa presenza.
Si attaglia a questo quadro un’esemplificativa osservazione. «Dalla metà del Duecento in poi, con la trasformazione del territorio delle pievi in una rete a piccole maglie di parrocchie rurali cui i fedeli sono legati da obblighi simbolici, le campagne cominciano ad essere punteggiate da edicole e tabernacoli agli incroci stradali o lungo i confini tra due territori o ai bordi dei campi; lo scopo è di favorire la preghiera e offrire un riparo ai contadini, ai pastori e ai viandanti, ma anche di cristianizzare la campagna con segni visibili e ripetuti» (A. Melelli, M. Arca Petrucci, 1998, p. 107).
Testimonianza secolare è quella della venerazione della Vergine rappresentata sotto i vari titoli. La Madonna del Carmine, in edicola a Castel San Giovanni, era rappresentata anche in una tela, ora perduta, nella chiesa di Sant’Angelo. Se si volge l’attenzione ad altre raffigurazioni e edifici di culto, l’orizzonte del sacro include santi protettori di lontana religiosità: san Giovanni Battista, l’arcangelo Michele («Sant’Angelo»), san Martino di Tours, san Cassiano, e ancora san Giovanni Evangelista, sant’Andrea, il pontefice Gregorio Magno (lo ricordano la Pieve di Castel Ritaldi e l’edicola di Castel San Giovanni), santa Lucia, san Pietro, san Francesco d’Assisi, san Francesco da Padova, san Francesco da Paola, san Pancrazio.
Nel panorama storico del territorio le edicole corrispondono alle varie fasi della devozione cattolica. La Madonna del Soccorso, in vocabolo La Pieve, è congeniale al culto promosso dagli Agostiniani, insediati dal 1321 dopo i Benedettini nel vicino piccolo convento della Pieve di San Gregorio in Nido. Il santuario della Madonna della Bruna, il cui evento originario è del 6 giugno1506, la bolla di edificazione 1510, corrisponde alla ripresa del pellegrinaggio e del culto mariano nel XVI secolo. Prima infatti la riforma cattolica di riflesso alla riforma protestante, poi l’azione controriformistica della Chiesa cattolica dopo il concilio tridentino (1545-1563), daranno rinnovato impulso alla devozione mariana e al pellegrinaggio penitenziale della visita ai luoghi santi specificamente dell’Umbria, con Assisi in primo piano ma anche a luoghi minori come Montefalco per Santa Chiara della Croce cui si riferisce l’evento della Madonna della Bruna (vedi scheda 014).
La sacralizzazione del territorio è inoltre testimoniata dalla disseminazione di chiese, cappelle, edicole, croci, soprapportali e altri simboli sacri, richiamanti l’attenzione del viandante, conforto spirituale oltre che aiuto materiale nell’individuazione della strada; contrassegnata da processioni con grande concorso popolare come quelle alla Madonna della Stella, o nel più circoscritto ambito comunale, alla Madonna della Selvetta e alla Madonna della Bruna al cui santuario confluivano da San Brizio, da Castel Ritaldi, da Castel San Giovanni, processioni che si esplicavano con i simboli sacri, le divise delle confraternite, i canti religiosi. Oggi molte delle manifestazioni tradizionali sono andate perdute e numerosi manufatti a carattere sacro risultano scomparsi, andati in rovina per incuria o disinteresse, in alcuni casi eliminati: nel rifacimento di abitazioni private (in via della Rotonda e in via Case sparse, due edicole sono testimoniate da documentazione fotografica); in conseguenza delle moderne trasformazioni del territorio come ad esempio l’allargamento di strade (sulla strada per Beroide, al bivio dell’antica Botonta, sopravvive nel ricordo degli abitanti e in un piccolo indizio in una foto anni 1960).
Di taluni edifici sacri, testimoniati dagli elenchi delle decime ecclesiastiche, da inventari parrocchiali, da visite pastorali, restano muri in rovina utilizzati come ripostiglio di attrezzi (Santa Lucia de Nido e, a qualche centinaio di metri, la cappella privata di San Domenico in Suriano trasformata in stanza della casa) o ruderi sommersi da vegetazione spontanea (San Sebastiano, in territorio di Beroide: da questa chiesa, condotto per la sua via Cupa, fu dato inizio al confine del comune di Castel San Giovanni, 1431, marzo 11; San Giorgio, regolarmente officiata fino al 1873). Di altri sopravvive il toponimo nelle carte topografiche o nella memoria di pochi abitanti (San Martino de Pratolongo, Sant’Andrea de Nido).
La caratteristica denominazione de Nido o in Nido, che s’accompagna alle chiese di San Gregorio, di Santa Lucia e di Sant’Andrea è negli elenchi delle Pergamene della cattedrale di Spoleto (in particolare, in Pelosius), in Archivio storico diocesano di Spoleto. Così le altre denominazioni di seguito riferite.
Per la pieve di San Gregorio in Nido, cui erano associate altre 28 chiese (vedi Pelosius), la singolare denominazione risulta nell’elenco dei beni, prebende e concessioni alla Canonica del duomo di Spoleto (fatta dal vescovo di Spoleto Andrea all’atto della sua erezione nel 1066 o 1067, Pergamena n. 347, in Pergamene del Capitolo metropolitano della Cattedrale di Spoleto, nello stesso archivio diocesano).
E tanti altri monumenti religiosi dimenticati, ignorati, gravemente manomessi, in tutte le frazioni e località del comune: Santa Maria di Sogliano (Scigliano), dalla chiara facciata romanica, unico segno della chiesa sul poggio di Castel Ritaldi presso la quale era la «casa del vescovo» (in questa casa il vescovo P.G. Lascaris, compiuta la visita pastorale a Castel San Giovanni, dopo i vespri si ritira il 18 ottobre 1715 – Archivio storico diocesano di Spoleto, Tomo IV, c. 308r.), la «Madonnina», San Cassiano, la Madonna della stelletta; San Pietro ad Vicum e San Pietro ad Campum dei quali da tempo s’è persa perfino l’ubicazione. Ciò nonostante la secolare sacralizzazione del territorio è a tutt’oggi testimoniata da edifici importanti per la storia e per l’arte e si perpetua rinnovandosi con ricorrenti processioni e con la realizzazione di simulacri e cappelline, purtroppo di scadente fattura, negli spazi di private abitazioni.