Con un richiamo preciso al nostro territorio, ricordiamo che Ser Francesco Mugnoni nei suoi Annali dall’anno 1416 al 1503 scrive che la viticoltura ebbe a partire dai suoi tempi notevole impulso grazie alle ‘pergole’, certamente per il tipo di agricoltura che queste consentivano: [111] «[…] Jtem per prima erano vigne per tutto Murj et Manciano et Matigia: in Manciano et in Murrj non ce è niuna [cioè «non ce n’è più niuna»]: sono sequite le pergole da quisto tempo in qua, che se vede omne cosa esser posto pergule […]» [‘Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi’, www.protrevi.com].
Per inciso ricordiamo che il toponimo Murj (o Murrj), citato da Ser Mugnoni, è l’attuale Morro: il colle compreso tra i Cappuccini e il fosso dell’Eremita.
Il successivo sviluppo di tale sistema di coltivazione della vite ci è confermato anche dai viaggiatori del Grand Tour che attraversando la Valle Umbra ebbero modo di apprezzare la nostra campagna e di descriverla nei loro diari.
Ne citiamo alcuni stralci.
Edward Wright, inverno del 1721: «[…] Da Foligno a Spoleto, la strada è molto piacevole, coltivata da tutte e due le parti nel modo Lombardo: con le viti appoggiate agli alberi […]».
Joseph-Jerom Lefrançais de Lalande, diario del viaggio in Italia negli anni 1765, 1766: «[…] Si cammina su di una strada molto bella che è come un viale di pallamaglio […] si traversa una gran vigna in cui le viti salgono sugli alberi che sembrano una foresta piantata a quinconce; questi alberi sono gelsi bianchi, sicomori e olmi […]».
Anna Miller, maggio 1771: «[…] Da ogni lato della strada, il nostro panorama era costituito da una ricca campagna, piantata fittamente da gelsi bianchi, sicomori, olmi, e vigne. Il grano cresce abbondante tra i filari degli alberi […]».
In questi racconti notiamo l’assenza sia del bagolaro sia dell’acero campestre, presenti invece nella coltivazione rilevata con questa scheda. Il bagolaro nella nostra economia rurale è stato usato come tutore vivo in quanto è un albero resistente, che offre legname di buona qualità, non facilmente attaccato da parassiti, longevo e, come detto, con le fronde giovani particolarmente gradite al bestiame.
L’orniello, certamente meno usato, era spesso scelto per il rapido sviluppo vegetativo, ma al contempo perché poco invasivo nei confronti della vite e soprattutto del suo apparato radicale. In generale ricordiamo che nelle piantate della Valle Umbra meridionale le specie arboree più utilizzate sono state l’olmo (Ulmus campestris L.) e l’acero campestre (Acer campestre L.).
Storicamente il primo è il tutore classico citato da Virgilio, Orazio, Ovidio, Marziale e Giovenale. Il secondo, poco apprezzato dai Romani, fu invece utilizzato nelle epoche successive e a partire dal XVI secolo molti agronomi si mostrarono decisamente favorevoli al suo uso nel contesto di questa pratica agronomica.
Questo post è tratto da: Patriarchi Verdi vol. 1