I giacimenti di lignite
Una ricostruzione quasi pittorica dell’assetto geologico ambientale dei luoghi ci è data dalla descrizione di Arpago Ricci, tra i primi studiosi della seconda metà dell’Ottocento, a interessarsi delle ligniti spoletine:
«… Dirò sovra ogni altro che dal banco carbonifero, potente […] circa 9 m, e formato di combustibile importantissimo per quasi m 8 […] di lignite la quale deve portare meritatamente un tal nome, perché ricca di grossi tronchi d’alberi a fibra compatta e in quantità relativamente maggiore dell’esistente nella lignite di S. Croce […] In vero se da un lato […] la struttura delle foglie fossili che richiama le foglie di quelle appartenenti a pioppi, a platani ecc. che potevano aver vegetato nelle contigue foreste, e la costituzione effettiva di sì potenti banchi a strati distinti e vicinissimi ed a tessuto compatto, e più nero che legnoso nei più profondi, inclinano a far credere che la genesi siasi verificata al tramonto del miocene superiore; da un altro lato la colorazione azzurra delle marne assai argillose, le foglie fossili d’olmo, e l’abbondanza di giunchi nella lignite, un frammento di anodonta e varie elici intere incassate nell’argilla azzurra, una ostrica tegulata rinvenuta nel banco inferiore della lignite di S. Croce, una specie di tellina trovata nel 1° banco di S. Angelo (il tutto custodito nel gabinetto geologico dell’accuratissimo Conte F. Toni) infine l’abbondanza di paludine di limnee e di planorbie che si incontrano ovunque lavorando la marna azzurra, e soprattutto i belli avanzi di mascelle e di difese appartenenti a mastodonti (tenuti in serbo nei musei di Bologna) che il Prof. Capellini disseppellendo classificò per mastodon arvernensis, attestano irrefregabilmente una formazione del pliocene più pronunciata di quella miocenica […].
Ad ogni modo i due banchi di lignite sono di aspetto alquanto differente. Il primo che si incontra discendendo è costituito di strati di argilla scura più o meno impregnata di materia organica, tra cui molte foglie di dubbia struttura ed appartenenti a piante arboree dei monti vicini, quali probabilmente pioppi, pini, fors’anco platani, ecc. alternati con strati più carboniosi, ed in cui predominano delle piante lucustri, come felci, sfagni, giunchi, calici, conferve, ecc. commiste a tronchi di alberi più o meno schiacciati. Queste alternanze ben distinte nell’interno della galleria, ed ovunque incontrate nelle trivellazioni dello stesso banco, si ripetono quasi regolarmente un paio di volte, cosicché il sedimento carbonifero di 8 metri circa può bene riguardarsi formato di due altri successivi e a spessore consimile, od almeno come un unico banco originatosi prima e dopo un intervallo di tempo nel quale la vegetazione venne parzialmente a sospendersi o scarsamente a depositarsi. Ed è non solo fra mezzo alle argille azzurre, ma in ispecie nei primi sedimenti terrosi della lignite, che si riscontano conchiglie fossili varie, di paludine, di planorbie, ecc. […].
Con disposizione generale non molto differente ma più estesa, sotto al 1° banco si osserva il 2°, che essendo più profondo e più antico è perciò per la qualità migliore. In vero anche qui si verificano due periodi di formazione distinti tra loro, nei quali a due massimi di vegetazione subacquea successero due minimi, dopo il secondo dei quali si depositarono, nello spazio di secoli, i 30 metri di argilla azzurra, dianzi segnalata sotto al 1° banco. In tale 2° banco, il primo periodo di formazione fu specialmente sì copioso di vita vegetativa e si povero di alluvioni, che la base del banco, a cui dette luogo, è, per circa 6 metri di altezza verticale, di lignite compatta della migliore qualità; al di sopra della medesima stanno 3 o 4 metri di argilla e lignite terrosa che fanno da letto ad altro deposito di lignite più o meno pura, e della potenza complessiva di altri 14 metri circa, dei quali più della metà sono di lignite quasi compatta come l’inferiore. Codesto banco adunque è di non poco momento, e chiaro risulta essere in potenza alquanto. Sebbene non molto, maggiore di quello di S. Croce, di cui alla fin fine è ora ovvio che ne sia la pura e semplice continuazione […]» (RICCI, 1882).
La stratigrafia del Ricci indica una sequenza sedimentaria più antica (2° banco del testo), poggiata direttamente sulle marne mioceniche e caratterizzata da un deposito di 6 metri di lignite xiloide compatta, costituita prevalentemente da tronchi d’albero («lignite la quale deve portare meritatamente un tal nome, perché ricca di grossi tronchi d’alberi a fibra compatta»); a questa segue un banco di lignite torbosa, che passa superiormente ad un banco di argilla per complessivi 3-4 metri.
Succede una seconda sequenza in cui si trovano nell’ordine, dal basso in alto, circa 8÷10 metri di lignite xiloide (più della metà), 6÷4 metri di lignite torbosa, poi un intervallo consistente di 30 metri di argilla.
Queste sequenze sono rappresentative anche della situazione del giacimento di Santa Croce, situato più a settentrione.
Il Ricci, infatti, continua dicendo:
«È vero che a S. Croce […] si è trovato fra la lignite uno strato di argilla di 10 centimetri circa […] mentre a S. Angelo questo straterello avrebbe aggiunto lo spessore di un metro e poco più; ma è anche vero che a S. Croce fra il 2° banco ed il 1° s’intercalano 40 metri circa di argilla azzurra, laddove a S. Angelo verticalmente essa non è che di 30 metri: ossia che venendo al sud la lignite guadambia di tanto in spessore, di quanto nello stesso senso diminuiscono gli strati terrosi sovrastanti».
In mancanza di una documentazione e delle indagini sedimentologiche del caso, è possibile solo avanzare ipotesi, riferendosi ai dati disponibili e alle possibili analogie con il ramo occidentale del bacino.
Si ritiene confermata la presenza di un antico lago relativamente profondo e con una sedimentazione ritmica limoso-argillosa.
Eventuali aree costiere, pianeggianti ed articolate rispetto allo specchio d’acqua principale, potrebbero aver favorito l’instaurarsi di ampie zone acquitrinose coperte da grandi alberi e sviluppo di vegetazione erbacea al contorno.
Potrebbero aver favorito la lenta morte del bosco ed il relativo accumulo di tronchi nelle aree di bassa palude.
La loro rapida sottrazione alle condizioni aerobiche ne avrebbe quindi permesso la fossilizzazione e la trasformazione in lignite xiloide.
L’approfondirsi della lama d’acqua avrebbe quindi favorito la crescita della vegetazione erbacea palustre con conseguente deposito di lignite torbosa in successione a quella xiloide. La sequenza è quindi chiusa dalle argille, la cui deposizione sarebbe legata allo sviluppo di un regime franco lacustre.
Un’inversione di tendenza, relativa o ad interrimento più veloce della subsidenza o a variazioni negative delle precipitazioni, potrebbero giustificare le caratteristiche sedimentarie del ‘secondo banco’, relative di nuovo ad un ambiente palustre, in cui si susseguono due sequenze di ‘lignite torboxiloide-argilla organica’, giustificate ormai dal prevalere dello sviluppo erbaceo rispetto a quello forestale.
L’ambiente anossico e la pressione litostatica avrebbero con il tempo portato a quelle trasformazioni che caratterizzano i banchi lignitiferi così come oggi si presentano:
«i quali tronchi per la posizione orizzontale secondo cui giacquero, hanno subito tale uno schiacciamento da renderne il diametro orizzontale quasi doppiamente lungo di quello verticale».
A quanto sopra detto è infine da aggiungere l’azione della neotettonica che nell’area di Dunarobba ha portato all’inclinazione verso est dei tronchi fossili, mentre nell’area spoletina può giustificare la forte inclinazione del banco di lignite verso valle.
Alcune considerazioni sulle condizioni di formazione dei banchi lignitiferi
Nelle descrizioni geologiche del Ricci risulta evidente la differenza tra le ligniti del ‘primo’ e del ‘secondo banco’, così come rappresentate anche nella stratigrafia ricostruita sulla base di quelle descrizioni.
Entrambi gli episodi sedimentari del ‘primo banco’ mostrano la presenza di lignite torbosa che passa superiormente ad argilla organica, indicando un ambiente di sedimentazione a bassissima energia (acquitrino, torbiera, palude) in cui hanno prosperato le piante erbacee con una presenza subordinata di piante arboree.
Nel ‘secondo banco’ si hanno strati di 6÷10 m di lignite xiloide o piligno, costituito per la maggior parte da tronchi di alberi, cui segue un livello di lignite torboxiloide e quindi l’argilla. Da tali premesse si ritiene utile sviluppare alcune considerazioni inerenti diversi aspetti del processo di formazione dei banchi lignitiferi, che ci permetteranno di proporre delle ipotesi di lavoro sulla formazione dei banchi di lignite xiloide.
«Piligno, quella formata da grossi tronchi d’alberi cementati entro un magma torboso ed elementi minuti di piante» (CASTELLI, 1921).
Presenza di argilla
La componente argillosa è importante in quanto costituisce il mezzo sigillante che favorisce lo sviluppo di condizioni anossiche necessarie
per il processo di carbonizzazione. L’argilla si caratterizza come copertura o come matrice entro cui sono contenuti gli elementi organici;
la sua presenza può trovare un riscontro anche nelle analisi chimiche dei diversi tipi di lignite:
la quantità delle ceneri prodotte dalla semplice combustione del legno, ove naturalmente l’argilla non è presente, somma a qualche percento (1÷3% del totale), chimicamente costituito da un miscuglio di ossidi di Calcio, Silicio, Sodio, Potassio, Magnesio e Fosforo
l’analisi delle ceneri dei diversi tipi di lignite, evidenzia invece percentuali molto variabili, con composizione chimica in cui è costantemente rilevata, in percentuali significative, l’allumina (Al2O3), indicatore della presenza di argilla
Esaminando alcune tabelle riassuntive del contenuto in cenere di diversi tipi di lignite, riportate di seguito, si può concludere che:
nelle ligniti torbose e torboxiloidi di S. Angelo e S. Croce, le ceneri variano indicativamente tra il 10÷50%, segnalando una presenza certa, anche se variabile, di frazione argillosa, rivelata proprio dal contenuto in allumina
nelle ligniti di tronco, il contenuto in ceneri è molto prossimo a quello caratteristico del legno.
QUESTO POST È TRATTO DA: LA FORMAZIONE DEI GIACIMENTI – Miniere di lignite in Umbria [QUADERNI DEL LABORATORIO DI SCIENZE DELLA TERRA nn. 2-3/2006], VOLUME A CURA DI BRUNO MATTIOLI
CAPITOLO CURATO DA: Antonella Manni, Bruno Mattioli, Tiziana Ravagli