Le considerazioni proposte, elaborate su studi precedenti, situazioni di confronto, analogie e documentazioni parziali, in assenza dei necessari approfondimenti di analisi, non permettono di giungere a delle conclusioni univoche sulla genesi dei banchi di lignite xiloide, ma consentono solo di formulare delle ipotesi di lavoro. Si propongono quindi i due seguenti scenari.
A) In un’area marginale dell’antico Lago Tiberino, caratterizzata dalla presenza di una lama d’acqua discontinua e sottile, si sviluppa una copertura arborea di Glyptostrobus, con presenza, al margine o nelle zone aperte, di piante erbacee; grossi tronchi schiantati, sul fondo fangoso, sono ricoperti parzialmente dall’acqua.
Una veloce subsidenza, con un adeguato tasso di sedimentazione argillosa, sigilla i tronchi che via via si accumulano sul fondo; eventuali immissioni di acque fluviali potrebbero aprire dei canali con trasporto di sabbie, causando un parziale rimescolamento dei sedimenti e giustificando una presenza discontinua di sabbie di tetto e la dispersione di frammenti di carcasse animali.
Accettando l’analogia con le condizioni edafiche del Glyptostrobus attuale, che può vegetare su lame d’acqua non superiori ai 60 cm, si dovrebbe ipotizzare una velocità di seppellimento dei depositi legnosi superiore ai 5 mm/anno, come proposto da altri Autori per Dunarobba (BASILICI & GENTILI, 1992), perché diversamente ci sarebbe il rischio di marcescenza dei tronchi abbattuti.
In questa ipotesi, inoltre, le condizioni dovrebbero rimanere costanti per un arco di tempo di 5000÷30000 anni, per consentire l’accumulo dei banchi di lignite esistenti.
A ciò si deve aggiungere che, ammettendo una velocità di sedimentazione argillosa pari o addirittura superiore alla velocità di accumulo del materiale legnoso (secondo l’ipotesi precedentemente proposta), l’analisi chimica delle ligniti dovrebbe presentare una frazione di ceneri con allumina coerente con questa, mentre le analisi del Ricci mostrano un contenuto in ceneri del tutto simile a quello del solo legno.
Questi ultimi elementi inducono a ritenere poco probabile questo primo scenario.
B) Nella zona costiera dell’antico Lago Tiberino, in corrispondenza di una ampia insenatura ad ovest di Spoleto, si sviluppa un’ampia copertura boschiva.
Procedendo verso est, la palude arborea, caratterizzata da specchi d’acqua con vegetazione erbacea, passa progressivamente ad un regime lacustre franco. Il materiale vegetale, tra cui i fusti di Glyptostrobus, si accumula via via sul fondo della palude subsidente.
L’area, per l’immediata vicinanza del Torrente Marroggia e del Torrente Tessino (vedi ipotesi di una loro diversione per cattura fluviale), è a rischio idrogeologico.
In questa situazione, eventuali fenomeni di piena con tempi di ritorno di 500÷1000 anni, potrebbero:
- aver trasportato verso valle abbondante materiale legnoso
- aver scavato e rimobilitato parte del materiale sedimentato negli stagni, liberandolo di parte dell’argilla della sedimentazione primaria e ridistribuendolo, insieme ai nuovi apporti, verso valle, nel lago, con spessori decrescenti.
Allo stato attuale delle conoscenze, questa ipotesi appare in grado di spiegare alcuni elementi, presenti nel bacino lignitifero spoletino, diffusamente descritti nei paragrafi precedenti.
In particolare:
- l’accumulo di forti spessori di materiale legnoso in tempi brevi
- lo spessore decrescente verso NE dei depositi lignitiferi, già indicato dal Ricci («venendo al sud la lignite guadambia di tanto in spessore,di quanto nello stesso senso diminuiscono gli strati terrosi sovrastanti»);
- la bassa presenza di argilla e quindi di ceneri con allumina nelle ligniti xiloidi spoletine
- il rinvenimento di soli frammenti fossili, per la dispersione casuale dei resti scheletrici
- la presenza di lenti di conglomerati e letti di sabbia indicati dalla pratica mineraria al tetto del banco
In assenza di necessari approfondimenti e di studi dettagliati sulla composita realtà del bacino lignitifero di Morgnano-S. Croce, non si può giungere a delle conclusioni univoche sulla genesi dei banchi di lignite xiloide presenti nell’area.
Il presente lavoro, pertanto, vuole proporsi come ipotesi operativa per un nuovo approccio all’analisi di questi temi, foriera forse d’interessanti sviluppi futuri.
QUESTO POST È TRATTO DA: LA FORMAZIONE DEI GIACIMENTI – Miniere di lignite in Umbria [QUADERNI DEL LABORATORIO DI SCIENZE DELLA TERRA nn. 2-3/2006], VOLUME A CURA DI BRUNO MATTIOLI
CAPITOLO CURATO DA: Antonella Manni, Bruno Mattioli, Tiziana Ravagli