Diamo sempre per scontato l’aspetto delle nostre montagne…

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Diamo sempre per scontato l'aspetto delle nostre montagne come se, in qualche modo, fosse rimasto così da sempre. Niente di più sbagliato!

I nostri paesaggi, anche quelli montani, sono un organismo in costante evoluzione: una sommatoria di elementi naturali e antropici in rapporto dialettico da millenni.

Basta guardare a come sono cambiati i nostri boschi dagli anni ’50 ad oggi. Secondo una stima, la superficie boschiva propriamente detta è aumentata di ben l’80%, passando dal 35% della superficie montana nel 1955 al 65% del 2015. Al contempo pascoli e aree d’altura messe a coltivo sono scese dal 35 al 20%, con un decremento del 40%. Se il trend dovesse continuare a questa velocità, i prati sommitali della nostra montagna potrebbero scomparire intorno agli inizi del XXII secolo.
D’altra parte è stato sempre così. Una veduta di Trevi del 1575 ci mostra la montagna quasi interamente spoglia da vegetazione, ormai confinata nei semi-inaccessibili canaloni del Serano e delle Brunette.
Se spostiamo l’attenzione a qualche secolo prima, le pergamene abbaziali ci riportano una quantità di terreni boschivi quasi irrisoria se paragonata a quelli messi a coltivo (il Medioevo, almeno quello italiano, non è affatto l’era delle foreste…).
Una popolazione montana di diverse volte superiore a quella attuale, una pastorizia “vorace” e onnipresente nonché un altissimo uso del legno per edilizia e riscaldamento avevano sostanzialmente estinto le risorse boschive.
E scendendo a ritroso, troveremmo nostri lontani antenati, svariati millenni fa, iniziare con arnesi di un tempo il diboscamento di una montagna interamente coperta di alberi.

ESTENSIONE DEI BOSCHI 1955 - 2015 (RICOSTRUZIONE A CURA DI STEFANO BORDONI)

E se da un lato, il prepotente ritorno di quest’ultimi non può che farci piacere per la qualità dell’aria e la biodiversità, dall’altro testimonia eloquentemente la definitiva morte della Civiltà Appenninica: processo iniziato a dire il vero già alla fine del Medioevo…

Un post a cura di Stefano Bordoni, redattore del MOST e archeologo

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