A partire dal XVI secolo si ebbe un crescente interesse verso gli studi naturalistici. Già nel 1546 Agricola pubblicò il suo ‘De Natura Fossilium’, con osservazioni sul mondo naturale e sui fossili. La natura organica di tali resti divenne oggetto di un ampio dibattito che ebbe tra gli assertori più convinti Gerolamo Cardano e il francese Bernard Palissy. La ricca collezione di questi, in particolare, conteneva numerosi pezzi di legno fossile, un materiale che destava grande curiosità perché considerato ancora misterioso e ambiguo...
L’area mineraria più importante è stata senza dubbio quella di Morgnano (Spoleto), con i cantieri Orlando, Santa Croce, San Silvestro, Sant’Angelo, Uncinano.
Numerosi pozzi di estrazione giungevano fino a quasi 400 metri di profondità, con centinaia di chilometri di gallerie che si intersecavano da Sant’Angelo in Mercole fino a Maiano; una teleferica portava il minerale dai cantieri di Bastardo fino a Morgnano, ove una ferrovia mineraria serviva tutta l’area di coltivazione, connettendola alla rete ferroviaria statale.
Nell’area di Morgnano, in corrispondenza del cantiere centrale, si sviluppò praticamente una cittadina, con numerosi impianti (tramogge, essiccatoi, cava di argilla, fornace per mattoni, officina elettrica, infermeria, mensa), di cui oggi restano ancora alcune testimonianze, progressivamente deteriorate dal tempo e dall’oblio.Da questo fiorire di studi nacque in Italia, per volontà del principe Federico Cesi, duca di Acquasparta, l’Accademia dei Lincei, società scientifica dedita agli studi naturalistici, che ebbe tra i suoi membri anche Galileo Galilei.
Nel 1637 Francesco Stelluti, accademico dei Lincei e amico del Principe Cesi, diede alle stampe il ‘Trattato del legno fossile minerale – nuovamente scoperto, nel quale brevemente si accenna la varia, e mutabil natura di detto legno rappresentatovi con alcune figure, che mostrano il luogo dove nasce, la diversità dell’onde, che in esso si vedono, e le sue così varie, e meravigliose forme’.
La preparazione del trattato è precedente al 1635 e si inserisce nel clima di fervore scientifico per i fenomeni naturali, e in particolare per il legno fossile, diffuso tra i Lincei e i naturalisti francesi dell’epoca. L’opera, dopo una lettera dedicatoria al Cardinale Barberini, è composta da una breve introduzione nella quale vengono illustrate le motivazioni della ricerca, l’oggetto e il luogo delle analisi; segue l’esame particolareggiato dei reperti fossili con le varie interpretazioni sulla loro origine. Il testo del trattato è molto breve, mentre è ricchissima l’iconografia, composta da tredici splendide tavole realizzate dallo Stelluti, che dimostra di possedere una notevole capacità nel disegno e un grande spirito di osservazione. Le tavole hanno il valore di documentazione scientifica e non di ricerca estetica.
L’intero studio risponde agli intendimenti di Federico Cesi di impegnare i Lincei su temi di scienze naturali, tra cui quello dei fossili e in particolare dei metallofiti, ovvero i fossili con caratteristiche simili sia a metalli e minerali sia a vegetali.
Il Cesi aveva avuto occasione di rinvenire molti legni fossili presso il suo castello di Acquasparta e alla luce di ciò chiese la collaborazione dello Stelluti per intraprendere la ricerca.
L’interpretazione che questi dà sull’origine dei fossili non presenta novità nel panorama delle ricerche dell’epoca, ma si rivela molto interessante soprattutto per la metodologia scientifica seguita nello studio di tale fenomeno naturale.
Sul finire del XVIII secolo, l’economia di Spoleto sembrò conoscere nuovi impulsi.
Il fatto che alla secolare Amministrazione pontificia si fosse sostituita la straripante efficienza della Francia napoleonica e che la città fosse stata prescelta come capitale del vasto Dipartimento del Trasimeno, indusse a sperare in un periodo di prosperità economica.
Le inchieste ordinate dal governo francese allo scopo di conoscere la situazione sociale ed economica dei territori amministrati segnano l’inizio dell’età moderna. A redigere queste minuziose indagini e a rispondere ai questionari formulati, per questa lontana provincia dell’Impero, fu lo spoletino Pietro Fontana.
Un personaggio di notevole cultura e rigore morale, tenuto in grande considerazione sia come scienziato, sia come amministratore della cosa pubblica. Insieme allo scienziato perugino Luigi Canali, egli percorse in lungo e in largo il Dipartimento raccogliendo dati sul patrimonio artistico, sulla botanica, la geologia, l’agricoltura, l’industria, ecc.
Dedicò particolare cura alla raccolta di segnalazioni di affioramenti di combustibili fossili che riteneva indispensabili come fattore di sviluppo economico. L’unica industria estrattiva conosciuta allora in Umbria era, infatti, quella della limonite di Monteleone di Spoleto.
Importanti affioramenti di lignite furono rinvenuti in vari punti a nord-ovest di Spoleto, tra la riva sinistra del torrente Marroggia e le falde dei Monti Martani, fin dalla prima metà del XIX secolo.
In particolare, nel letto del torrente Trepentino, alla quota di circa 300 metri sul livello del mare, le acque avevano posto a nudo la testata di un banco di legno minerale. Gli abitanti del luogo, pur conoscendone le proprietà di combustibile non gli davano alcuna importanza, perché i loro fabbisogni erano più che soddisfatti dal legno che derivava dai ricchi boschi della zona.
Fu soltanto dopo il 1870 che si cominciò a parlare della possibile utilizzazione del banco lignitifero: un tale Federico Donati fece esaminare alcuni campioni della testa del banco e pensò di trarne profitto per usi industriali. La dichiarazione di scoperta della miniera detta di Morgnano-S. Croce, in corrispondenza delle frazioni omonime, fu rilasciata dal Distretto minerario di Roma nel marzo del 1881.
Si costituì immediatamente la Società carbonifera di Spoleto, diretta dal prof. Giovanni Moro di Cesena. In quello stesso anno, la Società, allo scopo di far conoscere maggiormente l’ottima qualità del suo prodotto, prese parte all’Esposizione di Milano vi inviò un masso compatto di lignite del peso di 18 tonnellate, tagliato nella miniera di Morgnano S. Croce.
Il trasporto di questo gigante di legno, il primo di tanta mole a una esposizione e che fu premiato con una medaglia di bronzo, fu per la città un avvenimento straordinario:
«… Sparsasi la voce che il masso era per giungere alla stazione, una folla immensa di
cittadini con a capo il concerto civico, che spontaneo prese la lodevole iniziativa, con molte
fiaccole si recò ad incontrare il masso enorme ad un chilometro circa fuori della porta Leonina; giunto il corteggio ai S.S. Apostoli si scoperse alla vista di tutti il masso sovra cui erano stati inalberati con gentil pensiero, la bandiera tricolore e la bandiera spoletina e facevan di sé bella mostra lo stemma di Cesena, patria dell’Ing. Moro e lo stemma di Spoleto».
Figura centrale delle nuove ricerche fu quella del prof. Arpago Ricci, professore di fisica e chimica nell’Istituto tecnico di Spoleto.
Questi nel 1881 avviò studi approfonditi, in particolar modo nel territorio di Sant’Angelo in Mercole. Al ter-mine dell’indagine territoriale, condotta con cin-quanta perforazioni, il Professore arrivò alla conclusione che la lignite di questa zona «… fosse, almeno per l’origine, la prosecuzione al sud di quella di S. Croce, e situata più verso le sponde meridionali di quel gran lago, in fondo al quale in migliaia di secoli deve essersi moltiplicata e poi seppellita cotanta vegetazione…».
Ancor più affascinante è la narrazione degli indizi che accompagnarono i ritrovamenti del combustibile fossile: «… ciascuno dei 2 banchi di lignite veniva preannunciato da un odore di bitume, di cui era imbevuta la terra che allo stesso banco sovrastava, odore tanto più spiccato quanto maggiormente questa si trovava contigua al fossile».
L’attenzione per questo combustibile fossile cresceva anche a livello nazionale: «Comunque sia è certo che il Cav. G. Jervis sin dal 1879 dà notizia pubblicamente dei depositi combustibili principali sparsi in Italia, e fra i medesimi annovera quelli umbri, dei quali avrà forse ancora dei campioni nel R. Muse Industriale di Torino di cui è intelligentissimo Conservatore, e che recisamente assegna al pliocene. Cita in proposito la lignite di Valperino presso Città di Castello rappresentata da due banchi, l’uno di 1,80 m, e l’altro di 1,45 m; quella di Campo Letame a 11 chilometri da Foligno e formata di un banco di 2,50 m; quella di Colle d’Oro e 2 chilometri da Terni data da 2 banchi, l’uno della potenza di 1,75 m, e l’altro di 1,30 m separati da circa 15 m di argilla; quella di Aspra giacente in 3 banchi, il primo di 3 m, e gli altri due di 0,35 m di potenza; accenna ad altre scoperte di lignite fatte a Costacciaro, a Bevagna, a Montefalco, a Limigiana, ad Acquasparta, a Todi, a Narni, a Guardea, ad Alviano, ad Amelia, a Capitone, a Montecastrilli, né poteva far menzione di queste spoletine, oggidì più importante di tutte, perché in quel turno di tempo incominciava solo ad occuparsene alcuno dei tanti scopritori, che da vari lustri vagamenti e senza prò pare che qua e colà l’avessero notata».
Nelle ligniti umbre, sin dagli inizi delle esplorazioni, furono rinvenuti interessanti resti di mammalofauna fossile.
Molti di questi pezzi entrarono a far parte della collezione del Conte Francesco Toni, che nella seconda metà dell’Ottocento realizzò un’importante raccolta geopaleontologica con cui costituì a Spoleto un Museo di Scienze Naturali. Nelle ‘Memorie’ del volume VII degli ‘Atti della Società Toscana di Scienze Naturali’, il prof. Dante Pantanelli descrive e classifica alcuni denti di vertebrati fossili trovati nelle miniere di Morgnano, che il Toni aveva ricevuto in dono dal prof. Giovanni Moro, che di quelle stesse miniere, come sappiamo, era il Direttore. Nel vol. MDCCLXXXVIII degli Studi Geologici dell’Accademia Spoletina, Francesco Toni racconta che «… i denti erano stati tutti rinvenuti tra la legnite, un metro circa, sotto la sua superficie, dopo aver tolto il cappello ghiaioso e terroso …»; ed ancora ricorda che il prof. Moro gli fece dono di «… quattro bellissimi saggi della cava di legnite di S. Croce, uno dei quali formava il grande blocco mandato all’esposizione di Milano nell’anno 1881 …», di cui abbiamo già detto.
Nel 1884 si pervenne alle dichiarazioni di scoperta di due nuove miniere: quella di Sant’Angelo in Mercole e quella di Uncinano-S. Silvestro, nello stesso bacino in cui era stata aperta la miniera di Morgnano-S. Croce. Tutte queste miniere, verso il 1884, passarono alla Società Civile Mineraria Appennina, che ne continuò i lavori. Un importante fatto nuovo modificò profondamente l’avvenire delle miniere di Spoleto, la cui gestione si era rivelata particolarmente difficile fin dai primissimi anni di attività per le scarse capacità imprenditoriali delle Società esercenti.
Il 10 marzo 1884 nacque, infatti, la Società degli Altiforni Acciaierie e Fonderie di Terni, la più impor-tante industria siderurgica italiana dell’epoca e soprattutto la prima ed unica industria nazionale impegnata nella produzione del materiale bellico necessario alla difesa nazionale.
Dalla nascita delle Acciaierie di Terni, le miniere di lignite di Spoleto ebbero così assicurato il proprio avvenire industriale, perché la lignite da esse estratta sarebbe stata utilizzata come combustibile nei forni Martin dello stabilimento ternano.
In tutto il territorio umbro-laziale erano comunque note varie manifestazioni di lignite, che furono in più tempi oggetto d’interesse per l’estrazione del minerale, in special modo per il fabbisogno energetico delle Acciaierie.
Queste nella prima metà del Novecento acquisirono varie concessioni di ricerca e coltivarono le miniere più interessanti, come rappresentato nella cartografia allegata, tratta da una monografia della Società Terni del 1935.
Furono centinaia le domande di concessione di ricerca concentrate nei territori di Acquasparta, Massa Martana e Montecastrilli, che il direttore generale della Società degli Altiforni sollecitò al prefetto di Perugia affinché venissero accolte.
Nel 1917 erano attive le miniere di Massa Martana, Collesecco, Rosaro e Aspra.
L’organizzazione dei cantieri era ovunque carente e spesso la lignite era trasportata alle stazioni più vicine con carri a buoi; l’incremento di produzione, comunque, faceva fronte alle maggiori esigenze della “Terni”.
Nei comuni di Giano e di Gualdo Cattaneo erano presenti vari affioramenti di lignite che furono coltivati con le miniere di Fontivecchie, Acquarossa, Somigno e Collesecco.
La miniera di Fontivecchie, attiva fin dai primi decenni del Novecento, riprese in pieno la sua attività nel 1936, quando passò in concessione alla Società Termoelettrica Umbra, che ne utilizzava le ligniti per la centrale termoelettrica del Bastardo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale nella miniera lavoravano circa 300 operai.
In questi stessi anni la ‘Terni’ assunse il controllo della Termoelettrica Umbra e la gestione diretta della miniera, utilizzandone il minerale per le proprie necessità produttive. Il minerale estratto dalle miniere di Fontivecchie e Acquarossa era trasportato al Bastardo da una ferrovia mineraria che correva lungo la valle del Puglia.
La ‘Terni’ dopo la realizzazione dell’impianto di essiccazione di Morgnano, avendo ormai il controllo delle miniere di Bastardo, progettò una teleferica, della lunghezza di 17 chilometri ed una capacità di 100 tonnellate orarie, per trasportare il minerale fino al cantiere Orlando, da dove poteva essere caricato e spedito su convogli ferroviari fino alle Acciaierie.
Il progetto fu realizzato soltanto nel dopoguerra e rimase in funzione fino al 1955, anno in cui le miniere del Bastardo furono dismesse e la Termoelettrica Umbra posta in liquidazione.
Fu soltanto dopo il 1870 che si cominciò a parlare della possibile utilizzazione del banco lignitifero: un tale Federico Donati fece esaminare alcuni campioni della testa del banco e pensò di trarne profitto per usi industriali. La dichiarazione di scoperta della miniera detta di Morgnano-S. Croce, in corrispondenza delle frazioni omonime, fu rilasciata dal Distretto minerario di Roma nel marzo del 1881. Anche a Dunarobba era nota la presenza di lignite, di cui aveva già parlato lo Stelluti nel suo ‘Trattato del legno fossile minerale…’.
Solo nel XX secolo, però, nacque l’interesse alla sua coltivazione e durante la prima guerra mondiale, per breve tempo, l’impresa De Sanna iniziò il prelievo del minerale nei pressi dell’attuale fornace di Dunarobba.
Nel 1929 la società ‘Giulio Santi’ di Spoleto inviò a Dunarobba l’ing. Baratto per organizzare lo sfruttamento del giacimento di lignite su criteri più razionali.
Già nel primo anno furono impegnati per l’estrazione della lignite più di 50 operai.
Nel 1933 la miniera si spostò ad Est della fornace e con l’approntamento di 4 discenderie (‘Linda’, ‘Eraldo’, ‘Santo Polo’, ‘Campo Rotondo’) ne fu incrementata la produzione.
La lignite, caricata su vagoni ferroviari nelle stazioni di Acquasparta e Narni, era inviata in diverse località italiane.
Durante la seconda guerra mondiale si arrivò ad estrarre fino a 300 mc di materiale al giorno e i dipendenti salirono a circa 600. Nel periodo di massimo sfruttamento si verificò un grave incidente, nel quale persero la vita 3 operai.
Dopo la guerra, per motivi di mercato, si ebbe un drastico ridimensionamento della struttura che venne dismessa nel 1952.
Analoga sorte subirono tutte le concessioni minori, che anticiparono di pochi anni la chiusura delle miniere di Spoleto, avvenuta nel 1962.
L’interesse per l’estrazione della lignite comunque continuò con l’attività di alcuni piccoli imprenditori, tra questi ricordiamo Albino Frongia, valente tecnico minerario di origine sarda, che lavorò come dipendente della Soc. Montecatini in varie miniere italiane (Calceranica, Montevecchio e Ribolla). Dal 1947 fu dapprima responsabile e poi titolare di una miniera presso Massa Martana. Come imprenditore, attivò numerosi permessi di ricerca nella media valle del Tevere, tra cui citiamo Monte-castro e S. Faustino di Massa Martana, Montenero, Vasciano, Camerata, Due Santi, Trentacoste, Ponte Martino e Fosso Chiusena di Todi, Duna-robba di Avigliano e da ultimo Fontevecchia di Gualdo Cattaneo.
Nel nostro territorio le ultime miniere di lignite in attività sono state coltivate a cielo aperto nei giacimenti di Fontivecchie e Acquarossa tra il 1992 e il 1998 per l’approvvigionamento della centrale Enel di Pietrafitta.
QUESTO POST È TRATTO DA: RIFERIMENTI STORICI – Miniere di lignite in Umbria [QUADERNI DEL LABORATORIO DI SCIENZE DELLA TERRA nn. 2-3/2006], VOLUME A CURA DI BRUNO MATTIOLI
CAPITOLO CURATO DA: Bruno Mattioli, Lamberto Gentili, Tiziana Ravagli